A tutt’oggi la comunicazione del vino non è in grado di esprimere le caratteristiche sensoriali del prodotto attraverso attributi, aggettivi e sostantivi, propri del vino stesso. Non esiste un color Chardonnay, un odore Brunello o un sapore Sangiovese. Sarebbe forse possibile risalire alle formule chimiche dei composti che costituiscono aromi o sapori, ma la comunicazione diventerebbe un esasperante esercizio d’incomunicabilità giacché, se è vero che l’aroma di mirtillo è accessibile a chiunque ed è esperienza comune, il destreggiarsi tra le formule chimiche, il destreggiarsi tra le formule chimiche diventerebbe un esercizio riservato a pochi sfortunati. Nel caso degli odori bisogna poi considerare che molti di essi hanno come basi chimiche miscele di composti, così anche gli addetti ai lavori si troverebbero di fronte a un percorso decisamente accidentato e, talora, senza vie di uscita. I termini che utilizziamo nella fantasiosa e creativa prassi della degustazione sono tutti traslati o metafore e, a parte vinoso, col vino c’entrano un bel nulla, mentre nella rigorosa disciplina dell’analisi sensoriale trovano spazio solo due descrittori specifici, per altro riferiti alle uve: Moscato e Labrusca, esili e timidi testimoni della difficoltà di definire il vino con sé stesso, mentre compaiono nella medesima lista odori di tutti i tipi e di tutte le provenienze. Mi riferisco alla lista dei descrittori olfattivi, secondo l'aggiornamento operato da Jean-Xavier Guinard all’elenco dei termini di Ann C. Noble e risalente a più di trent’anni or sono.

A firma di Giancarlo Gonizzi è comparso, intitolato Il vino di Garibaldi, un piacevole volumetto di circa 140 pagine dedicato all'uno e all’Altro. Ne introduce la lettura un aforisma non certo inedito nei contenuti, quanto nell'enunciatore, Edoardo VII, figlio della Regina Vittoria, ritenuto frivolo da principe e saggio da sovrano: "Il vino non si beve soltanto, si annusa, si osserva, si gusta, si sorseggia e… se ne parla". È vero, si direbbe che meno se ne beve e più se ne parla, anche se un autorevole neurobiologo come Gordon Murray Shepherd avverte che "il collegamento tra la percezione olfattiva e il linguaggio è debole e una simile argomentazione potrebbe essere valida anche per il rapporto tra sapore e linguaggio".

Per Shepherd il sapore sarebbe ciò che nel parlare comune è il gusto, ossia il complesso delle percezioni che avvengono nella cavità orale, le quali, come è noto, sono composite e avvertibili per lo più nell’insieme e nella contemporaneità, ma che siamo soliti distinguere nel dettaglio in percezioni dei singoli gusti (salato, acido, amaro e dolce), degli stimoli del pungente e dell’irritante, delle sensazioni tattili e di quelle retro-olfattive. Queste ultime, a dire del neurobiologo, la fanno da padrone pur se, in genere, non vengono riconosciute come predominanti a favore del gusto che, come detto, si identifica con la percezione orale medesima anche se così proprio non è. L’analisi di queste singole componenti della percezione orale non è cosa semplice e richiede preparazione e addestramento opportuni. Comunque sia, la percezione e il riconoscimento di uno stimolo ottengono il certificato dell'avvenuta esistenza quando vengono ratificati dalla parola che, fermo restando quel che sostiene Shepherd, costituisce l’unico, se pur incerto, segno convenzionale che ci consente di discriminare, di distinguere, di definire, di comunicare la rappresentazione mentale di un oggetto esterno interiorizzato.

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Per la loro importanza e la funzionalità che li riguarda, il gusto e l’olfatto sono stati i sensi più considerati nel contesto delle percezioni degli stimoli avvertiti nella cavità orale ma, come detto, non sono gli unici. Sappiamo che quanti si occupano di vini effervescenti sono particolarmente interessati sia alla percezione della CO2 e della spuma sulle mucose della bocca e financo dello stomaco, sia alla comunicazione relativa al fenomeno, così come quanti sono interessati ai vini rossi porteranno la loro attenzione agli effetti sensoriali dei costituenti polifenolici e alla possibilità di verbalizzarne le varie percezioni. In quest’ottica, si inserisce un interessante lavoro riguardante le percezioni tattili e pubblicato recentemente sul periodico Revue des Œnologues dal titolo Vers une approche polysensorielle de la description du toucher des vins e scritto da Valentin, Brochet, Peyron e Bullester. Più che tradurne il titolo, intuitivo, può essere utile proporre la trascrizione delle prime parole dell'articolo: " come descrivere le sensazioni tattili che può provocare un vino quando viene posto in bocca?». Per saperlo, riferiscono gli autori, sono stati interpellati 30 assaggiatori esperti che su 3 vini rossi hanno identificato ben 47 attributi riferibili alle percezioni tattili. Le identificazioni raccolte, elaborate mediante l’analisi fattoriale, hanno fornito dei gruppi di termini di riferimento costituenti appositi campi semantici, una sorta di categorie di termini accomunitai tra loro dal significato più o meno comune. Di tali gruppi, ne sono emersi 9 che grossolanamente ho identificato come segue: definizione della componente fisica (ampio, voluminoso ecc.); della componente termica(caldo); della componente della densità (denso, consistente); della componente della viscosità (viscoso, acquoso); della componente della liquidità (fluido, colante); della componente della leggerezza (leggero, fine); della componente della morbidezza (vellutato, setoso); della componente irritante (piccante, pungente); della componente della ruvidezza (rasposo, rugoso).

Questi termini, che costituiscono un bel bagaglio per la conoscenza e la comunicazione del vino, sono stati oggetto di ulteriore approfondimento sperimentale mediante un processo, inedito, che prevedeva l’associazione, da parte degli assaggiatori, delle percezioni tattili rilevate mediante contatto manuale con oggetti opportunamente predisposti e i termini, precedentemente individuati, propri dell’esperienza tattile del vino in bocca. Un’esperienza che si direbbe vagamente ispirata a quella dell’olfattometria, dove, grazie ad un’apposita strumentazione, l’operatore compie l'identificazione di un odore, con termini del glossario in uso, al passaggio della corrispondente molecola odorosa.

Nel dettaglio, gli autori, per definire i campi semantici derivati dall’analisi del vocabolario prodotto dai membri del panel, hanno proceduto come segue. Sono stati predisposti dei dispositivi, semplici ma efficaci, rappresentati da tavolette di legno su cui sono stati applicati 19 campioni di materiali diversi (carta vetro, tessuti, tela di juta, materiale isolante ecc.) sistemati in modo che l’assaggiatore potesse agevolmente toccarli, ma non vederli. Trenta assaggiatori sono stati contemporaneamente dotati della lista dei descrittori degli aspetti tattili del vino e del sistema di tavolette. I risultati derivati da questa associazione fra i descrittori e l’esperienza tattile manuale hanno consentito, grazie ad opportune tecniche di elaborazione dati, di realizzare una sorta di mappa delle associazioni da cui si possono facilmente presumere le identità e le differenze fra i diversi gruppi semantici così identificati. Le tecniche di elaborazione adottate hanno consentito di riconoscere 4 gruppi di dimensioni tattili differenti e, fra loro, anche in opposizione.

La prima di esse è caratterizzata da una nozione di spessore, di untuosità, di vellutato, di setoso, di floscio, di avvolgente e di leggero. Ad essa si contrappone la classe corrispondente alla nozione di rugosità, di ruvidezza, di piccante, di irritante e di seccante. La terza dimensione tattile propone l'idea di fluidità, di satinato, di levigato, che si contrappone alla nozione di densità, di chiusura e di durezza. Il quadro d’insieme delle informazioni che caratterizzano questo lavoro calato nell’esperienza dell’assaggio ci consente di rilevare, in primo luogo, che quanto si percepisce nella cavità orale ha una dimensione polisensoriale; infatti, molti dei termini del glossario appena individuato, non sono di per sé specifici della percezione tattile. In secondo luogo, i termini riguardanti la percezione tattile sono piuttosto numerosi e, seppure alcuni siano sinonimi, si tratta comunque di un numero elevato. In terzo luogo, il lavoro dei ricercatori transalpini mette in luce il ruolo tutt’altro che secondario della percezione tattile nella valutazione dei vini e la loro interconnessione con le altre percezioni proprie della cavità orale.

Astringenza, questa sconosciuta

Mediante la classificazione gerarchica si sono ottenuti dei gruppi di termini contrapposti nel significato: credo valga la pena riproporli nella totalità. La prima dimensione tattile (classe di termini) sarebbe costituita da: Untuoso, Carezzante o Carezzevole, Satinato, Dolce, Vellutato, Setoso, Levigato, Pastoso, Morbido, Delicato, Floscio, Leggero, Fine e Fresco. Questa classe si contrappone a quella che fa riferimento alle nozioni di Piccante, Pungente, Irritante, Effervescente, Seccante, Aspro, Raschiante e Ruvido. La terza dimensione tattile riflette l'idea di Fluido, Sfuggente, Viscido, Ricoprente, Polposo e Avvolgente. La quarta dimensione tattile (classe di termini) risulta

Denso, Consistente, Chiuso, Spesso e Duro.

I termini Grasso e Viscoso non si inseriscono, pur se molto usati, in nessuna delle 4 classi. Ovviamente alcuni termini hanno accezione positiva ed altri sono di segno opposto. Si può rilevare, tuttavia, che in questo elenco manca un aspetto sorprendente. Infatti, si è soliti considerare come causa preminente di stimolo tattile il fenomeno dell'astringenza, per altro non sempre facile da rilevare perché frequentemente sovrapposto con il gusto amaro. In verità, né la parola astringente né allappante compaiono nel glossario degli assaggiatori transalpini, anche se non è difficile individuare nei termini Seccante, Rugoso, Rasposo, ecc. altrettanti quasi certi sinonimi. Ovviamente non è dato sapere quali ragioni abbiano motivato l’assenza di questi termini, anche se, va detto, l’astringenza è percezione rilevabile nella sola cavità orale, non verificabile e confrontabile a livello tattile altrimenti. Comunque sia è fuor di dubbio che non pochi dei “descrittori” espressi dal panel di assaggio siano imputabili ai costituenti polifenolici dei vini. I costituenti fenolici del vino, come noto, sono piuttosto reattivi e facilmente combinabili sia con altri composti sia con quelli della propria famiglia.

Nella figura di seguito, ripresa e adattata dal Trattato di enologia di Ribèreau-Gayon e altri autori, pubblicato da Il Sole 24 Ore Edagricole, si riportano le situaazioni dei fenomeni evolutivi dei costituenti fenolici del vino.

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In essa rileviamo l'influenza dei composti fenolici sulla diversità dei caratteri sensoriali ad essi riferibili. Nella fase evolutiva iniziale prevale il gusto acido e a costituirlo sono essenzialmente le diverse forme di Procianidine. Ininfluenti gli Antociani ed i Tannini. Alla comparsa del gusto amaro contribuiscono soprattutto le Procianidine polimerizzate ed i Tannini, inattive le Procianidine semplici e quasi inconsistente il ruolo degli Antociani. Infine, eccoci alla fase di astringenza imputabile soprattutto ai Tannini e ancora alle Procianidine polimerizzate che tuttavia sono in fase calante. Nulla l’azione delle Procianidine semplici e quasi altrettanto nullo il peso degli Antociani. Sicuramente il ruolo dei Tannini è determinante nella costituzione dell’evento astringenza e verosimilmente questi composti sono alla base delle percezioni che abbiamo rappresentato con le liste di termini individuate dal panel transalpino. Infatti, le conclusioni del lavoro citato ci informano che la nozione di astringenza, che abbiamo esemplificato con il grafico, varia in quantità e qualità con la maturazione del vino e si frammenta in una gamma complessa di altre percezioni, come risulta dalle osservazioni conclusive che riportiamo di seguito: "I principali descrittori studiati ruotano attorno alla nozione di astringenza e più della metà dei 53 termini della ruota delle sensazioni proposta da Gavel e altri (2000) sono associati a questa sensazione. Gli altri termini si dividono tra la nozione di acidità e di flaveurs. Pertanto, oltre ai tannini responsabili della sensazione di astringenza numerosi altri composti (etanolo, zuccheri, glicerolo, acidi organici) modulano le sensazioni tattili determinate dal vino in bocca. Il rapporto fra questi composti e le percezioni degli assaggiatori è argomento ancora piuttosto poco noto".

Chi ha fatto esperienza di entusiasmi giovanili da alpinista, ma disponeva di pochi talenti, faceva affidamento su due elementi: che in cordata ci fosse un individuo ancor meno talentuoso che cedesse per primo alla fatica o che la prima vetta fosse la meta definitiva. Ora elementi meno dotati di me era difficile trovarne e una volta arrivati alla vetta ci si accorgeva che ce n’era un’altra subito dietro che compariva all’improvviso e che era doveroso raggiungere. Così è un po’ nel processo della conoscenza. Per anni abbiamo utilizzato forme lessicali nella convinzione che fossero sinonimi, mentre ci accorgiamo che anche nella definizione delle caratteristiche tattili di un vino esistono modalità diverse di individuazione di queste, perché esse stesse richiedono differenti approcci lessicali. La vetta che compare all’improvviso è, nel nostro ambito, la multisensorialità delle percezioni della cavità orale. Bene, finiamola qui. Però, a pensarci bene, non è poi tanto male che nella vita e nella degustazione dei vini compaia ogni tanto qualche altra vetta nascosta da raggiungere. L’importante, ma parlo per me, è che non sia troppo alta.