«Parsifal si volta e guarda con dolce estasi sulla selva e sul prato, che ora rilucono in luce antimeridiana: “Oh come bello m’appare oggi il prato! Bene io mi trovai tra fior di meraviglia, che intorno a me cupidi s’attorcevan dino al capo;che intorno a me cupidi s’attorcevan dino al capo; e pure mai io vidi sì mansueti e teneri fiori e steli in fioritura; né mai così tutto odoò di cara fanciullezza, né così mi parlò intimo e soave!”». La scena è ambientata in un deserto, ma il “Prato Fiorito” – che dà il nome ad uno dei principali leitmotiv dell’opera wagneriana – contemplato dall’eroe del dramma è nella realtà il giardino che circonda Villa Tasca (ex Villa Camastra, portata in dote dalla moglie di Lucio, Beatrice Lanza), residenza cinquecentesca ai margini del centro storico di Palermo immersa in una flora rigogliosa di palme, mandorli ed acacie, dove Richard Wagner risiedette nel 1881 per completare il terzo e conclusivo atto del “Parsifal”, il suo ultimo dramma musicale. Era la prima volta che il musicista tedesco si spingeva nel “profondo sud" la cui intensa luminosità si rivelò preziosa fonte d’ispirazione durante quello che fu l’ultimo anno di vita del compositore, scomparso a Venezia nel 1883.

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Un richiamo alla musica per ricordare in che modo sarebbe quantomeno riduttivo associare il nome dei Tasca alla sola viticoltura, quando si rivela invece a tal punto radicato nel territorio regionale siciliano, da insinuarsi nella sua tessitura storico-culturale. Dal 1830, anno in cui i fratelli Lucio e Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono i 1.200 ettari (ridotti a 500 nella ridistribuzione delle terre del 1950) della contrada Regaleali (dall’arabo “rahal-ali”, il podere di Alì), inaugurando l’azienda DJULFRODßQRDOOHSL¹UHFHQWLDFTXLVL]LRQLÓOD tenuta Whitaker a Mozia nel 2007 e la storica tenuta Sallier de la Tour nella zona del Monreale DOC nel 2009 –, i Conti Tasca hanno saputo rappresentare il volto più autentico di una Sicilia devota alla “cultura del fare”, contribuendo a cambiare, nel corso dei secoli, l’aspetto di una Regione ancora molto indietro nel suo sviluppo rispetto al “Continente”. Non c’è innovazione, non c’è tecnologia – dall’aria condizionata ai sistemi di trasporto – che non sia passata per l’azienda prima di diventare “bene comune” della Regione. Non c’è idea o esempio di concretezza che non sia germogliato nel giardino delle tenute Tasca prima di attecchire e diventare possibile anche al di fuori. Da sempre avanguardisti ed innovatori, i Tasca si sono posti, sin dagli albori, l’obiettivo di creare un’azienda agricola modello, moderna e specializzata, concreta ed efficiente, che, come un bravo direttore d’orchestra, sapesse far suonare il leitmotiv del progresso agricolo e della produzione vinicola d’eccellenza, regionale e non solo al ritmo di una fiera sicilianità.

Liete “note” di questo tema musicale sono state etichette memorabili, come la Riserva Rosso del Conte, apparsa per la prima volta nel nel 1970, da un uvaggio di Nero d’Avola e Perricone, il primo vino siciliano invecchiato ad aver ottenuto riconoscimenti a livello internazionale (dalla prima Medaglia d’oro nel ‘78 A Liubjana fino al voto 93+/100 conferito da Antonio Galloni su “The Wine Advocate” nel luglio 2011); il blend ottenuto da una selezione massale di una vigna di Inzolia e Sauvignon blanc presente a Regaleali, Nozze d’Oro, lanciato nel 1984 per celebrare i cinquant’anni di matrimonio tra il Conte Giuseppe e la moglie Franca, cui ha fatto seguito il passito Diamante (blend di Moscato e Traminer, creato nel 1994 per i sessant’anni di matrimonio e presentato sul mercato nel 2003), che hanno consacrato la viticoltura a bacca bianca siciliana, rivelandone un insospettabile lindore "nordico"; fino all’avvento, nel 2008, del Tascante, il vino nato nell’omonima tenuta di sei ettari alle pendici del Monte Etna, che ha dato il “La” per la riscoperta di un territorio (quello che la wine writer Jancis Robinson ha definito "la Borgogna del Mediterraneo”) e di un vitigno, il Nerello Mascalese, entrambi protagonisti negli ultimi anni della nuova viticoltura siciliana.

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Dopo il recupero della territorialità intrapresa nelle tenute di Capofaro, a Salina, isola riconosciuta patrimonio dell’Unesco, e Sallier de La Tour, nella Valle dello Jato nei pressi di Palermo, oggi la “modernità” di Tasca d’Almerita si conferma ancora nel concreto impegno verso la sostenibilità ambientale ed il recupero e la salvaguardia del patrimonio naturale, storico ed ampelografico locale, che vede l'azienda partecipe del progetto SOStain, di cui è membro fondatore, e dell’accordo con il Ministero dell’ambiente per diffondere “La sostenibilità nella viticoltura in Italia”. Ma il progetto che sintetizza al meglio la “nuova musica” che suona in casa Tasca è forse quello intrapreso a San Pantaleo, piccola isola, nota anche con l’antico nome di Mozia, sita all’interno della Riserva naturale dello Stagnone di Marsala. Scelta nel I secolo a.C. dai Fenici per la produzione di sale marino, nel diciannovesimo secolo l’isoletta viene acquistata da Joseph “Pip” Whitaker, giunto in Sicilia per dedicarsi insieme allo zio Benjamin Ingham alla produzione del vino marsala. Appassionato di storia, Whitaker rimase affascinato nell’apprendere che si trattava della Mothia punica dove già nel Settecento erano stati rinvenuti resti archeologici. Decise quindi di proseguire gli scavi, riportando alla luce non solo la splendida statua del Giovinetto di Mozia, ma interi resti dell’antica colonia fenicia, visibili oggi tra i filari. Tutelata dalla Soprintendenza ai Beni culturali e dall’Istituto Regionale della Vite e del vino Sicilia, l‘isola, disabitata e priva di qualsiasi “allaccio” con il resto della Regione, conserva la sua autenticità ed il suo ecosistema, rivelandosi una sorta di “museo a cielo aperto” dove ammirare archeologia e antiche tradizioni vitivinicole, applicate ai 7 ettari di vigneto di varietà Grillo, condotto ad alberello in regime agricolo biologico e non irriguo. Un progetto che unisce storia, natura e viticoltura, nell’ottica di un rispetto che per i Tasca ha origine dalla convinzione che sia compito di ogni produttore non solo fare del buon vino, ma farlo in modo che abbia il minor impatto possibile sull’ecosistema. E in questo eterno ciclo dove ciò che dalla terra nasce alla terra ritorna, risuona ancora una volta il wagneriano “Leitmotiv del Prato Fiorito” e le parole di Parsifal: «Diverrà anche la lagrima tua rugiada feconda: tu piangi... guarda! E ride il prato!».