La polisemia è la capacità di una parola di esprimere più significati. Segni e suoni racchiusi in un unico lemma, in grado di evocare immagini, sensazioni e concetti diversi. Un affascinante campo di studio della linguistica che appassionò non poco i filosofi stoici, letteralmente rapiti dalle relazioni tra le parole e i loro significati. Singoli concetti potevano essere espressi in modi diversi, sinonimia, ma una sola parola, a volte, era in grado di comunicare molteplici idee o cose, polisemia appunto. A fare chiarezza sulle interrelazioni tra le eterogenee immagini, astrazioni e concetti legati a un singolo termine è stato, alla fine deli anni Settanta del Novecento, il linguista statunitense Geoffrey Nunberg, professore alla Berkeley School of Information della University of California e vera icona mondiale della semantica.

Nel suo lavoro del 1979 The non-uniqueness of semantic solutions: polysemy, in maniera rivoluzionaria, afferma che "tutti i molteplici usi di una forma lessicale sono connessi da una rete di funzioni di riferimento". Le espressioni di una parola polisemica altro non sarebbero, quindi, se non gli sviluppi pragmatici di un unico significato interno allo stesso lemma: a questo punto linguistica, semantica e filosofia si confondono in un inesauribile maelstrom. Tanti gli esempi di polisemia, alcuni semplici e banali, altri più intriganti e complessi; tra questi quello della parola Soave. Aggettivo che significa "ameno", "gradito ai sensi" ma allo stesso tempo nome di una cittadina storica del veronese e ancora vino, territorio nonché "traslitterazione” dell’antico nome del popolo degli Svevi, i Suavi appunto, che al seguito del re longobardo Alboino, calarono sull'Italia nella seconda metà del 500 d.C.. In breve, tutti significati, per dirla alla maniera di Nunberg, tra loro indissolubilmente legati: graziosa e accogliente la cittadina medievale, così come graditi ai sensi i vini ivi prodotti, assioma testimoniato da Mario Soldati, scrittore e giornalista che per primo si occupò dell'enogastronomia in lungo e in largo per il Bel Paese quando definì il nettare di Bacco locale «buono, fresco, appena appena abboccato al primo sorso e, poi, subito asciutto e va bene con tutti i cibi". Soave è tutto questo, terra di colori, verdi le vigne e i campi, grigie e biancastre le pietre, e luogo di luce dove i vini sono sfavillanti fluidi di solare vigore, dal dorato Recioto ai biondi Soave, nettari di eleganza ed equilibrio, da bere e da amare.

Una terra tanti vini

Il territorio del Soave comprende un areale di 12mila ettari (poco più di 7mila iscritti alle denominazioni) nella zona orientale della collina veronese nei territori dei comuni di soave, Monteforte d'Alpone, San Martino Buon Albergo, Mezzane di Sotto, Roncà, Montecchia di Crosara, San Giovanni Ilarione, San Bonifacio, Cazzano di Tramigna, Colognola ai Colli, Caldiero, Illasi e Lavagno. I vini prodotti sono cinque: le DOP Soave, Soave spumante e Soave Classico, e le DOP con dicitura DOCG Soave Superiore e Recioto di Soave. Quest'ultimo, il più antico della zona, non sarà trattato in questo articolo perché raccontato, in un prossimo futuro, all’interno di un servizio interamente dedicato.

Il disciplinare del Soave DOP ha nel 2011 subìto delle sostanziali modifiche che hanno visto, grazie alla particolare attenzione posta sulla sottozona Classico, nascere una sorta di DOP nella DOP, mentre per le aree collinari non comprese nella zona classica si è optato per l'uso della menzione Colli Scaligeri. La base ampelografica della DOP prevede l'utilizzo dell’uva Garganega per almeno il 70% dell’uvaggio o del taglio, pareggiato, per la restante porzione da Trebbiano di Soave e Chardonnay. "Ricetta" quasi identica a quella del Soave superiore DOP con dicitura DOCG che, tuttavia, esclude espressamente nel 30% extra Garganega la varietà borgognona per riammetterla poi, in tale ambito, ma solo fino a un massimo del 5% tra le uve provenienti dai vitigni a bacca bianca ammessi alla coltivazione dalla provincia di Verona.

Il disciplinare Soave Superiore DOP con dicitura DOCG prevede, oltre alla specificazione Classico, assegnata a quei vini prodotti da uve raccolte nella zona più antica dell’areale, la qualificazione Riserva per i nettari immessi al consumo non prima del 1° novembre dell’anno successivo a quello di produzione. Sempre da disciplinare, poi, i nuovi impianti devono essere realizzati solo a spalliera semplice o doppia, a pergola unilaterale semplice oppure pergoletta veronese mono o bilaterale: in tutti i casi, non dovranno contare meno di 3.300 piante per ettaro. Parametro qualitativo non da poco quest’ultimo, fortemente voluto dal Consorzio Tutela Vini Soave e Recioto di Soave insieme all’incremento della gradazione alcolica e dell’estratto secco dei vini (15 g/l per il Soave, 16 g/l per il Soave Classico e per il Soave Colli Scaligeri e 19 g/l per il Soave Superiore). Già riconosciuto come "vino tipico"nel 1931, il Soave, in tutte le sue declinazioni, gode oggi di un impianto legislativo di tutto rispetto, capace di supportare una filiera vitivinicola locale con numeri da record. Nel 2015 la produzione si è attestata a 413.793 ettolitri, pari a più di 55 milioni di bottiglie che, a loro volta, hanno letteralmente invaso 70 Paesi in tutto il mondo. Il giro d'affari annuo dei vini di Soave è stimato intorno ai 150 milioni di euro e un ettaro di vigneto iscritto alla DOP vale dai 200 ai 230mila euro. Indugiando ancora sui numeri, il legame tra questi vini e il territorio è altresì sottolineato dal peso della Garganega sul totale delle varietà coltivate, pari all'88,4% delle superfici investite a vigna (6.196 ettari nel 2014 a fronte di 7.008 ettari totali delle denominazioni), che da queste parti rappresenta l’impiego preponderante dei fondi agricoli specializzati, con punte del 95% nel comune di Monteforte d'Alpone e valori sopra l'80% nelle municipalità di Soave, Colognola, Montecchia e Roncà.

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Paesaggio, clima e suoli

Quello di Soave è un "paesaggio pregiato", così come scritto nel volume Un Paesaggio Soave del 2007, uno dei tanti, bellissimi libri voluti dal Consorzio di tutela e dal direttore Aldo Lorenzoni, vera mente operativa della rivoluzione del Soave. Colline, fascia pedemontana e fondovalle sono un valore da tutelare, dove uomo e uva vivono in una dimensione simbiotica, efficiente da un punto di vista economico e sostenibile. tutto questo è Soave, nella sua incessante polisemia. I confini naturali di questa zona sono, a est, la Val d'Illasi e, a ovest, i rilievi che precedono Gambellara; nel mezzo un territorio da vini bianchi, poliedrico, sempre diverso e suddiviso in quattro macroaree: rilievi collinari vulcanici a est, rilievi calcarei nel centro dell’areale – per intenderci lungo l’asse che parte dalla cittadina di Soave e va verdo Nord –, pianure di origine vulcanica a est e pianure calcaree a ovest, tra Soave e Colognola ai Colli, fino alle propaggini di S. Martino Buon Albergo. Il clima è temperato suboceanico nelle aree maggiormente pianeggianti e temperato montano in media e in alta collina, con precipitazioni intorno a 700-900 mm l’anno, concentrate perlopiù in primavera e in autunno. L'estate può essere anche molto calda e particolarmente umida nelle zone più basse; l’inverno è rigido, con frequenti fenomeni di inversione termica che rendono la pianura più fredda e nebbiosa della collina. Facendo riferimento alle quattro macroaree prima citate, i suoli sono più o meno profondi con tessitura incostante, argille scure e substrato basaltico sui rilievi vulcanici dell’est; calcarei e abbastanza profondi, con pietrosità limitata, sulle colline dell’ovest, a tessitura franco-limosa nella pianura calcarea e limosi-argillosi – molto drenanti –, nella pianura di origine vulcanica. Tutte queste condizioni, ivi comprese le pendenze dei fondi vitati così come le esposizioni delle vigne, contribuiscono alla creazione di un vero e proprio caleidoscopio di vini che raccontano un Soave plurale in fatto di stili, caratteristiche organolettiche e bagaglio sensoriale.

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Origini tumultuose

La diversità geologica del territorio, dove sembrano convivere due mondi inconciliabili, quello delle tessiture calcaree (sedimenti di antichi fondali marini ricchi di conchiglie e fossili) e quello delle rocce basaltiche di origine vulcanica, ha orientato gli studi su una precisa zonazione viticola con la pubblicazione, nel 2002, del volume Le vigne del Soave, frutto di otto anni di ricerche tra Consorzio Tutela Vini di Soave e Recioto di Soave, Istituto sperimentale di Viticoltura di Conegliano, Istituo per l'Enologia di Asti e la Provincia di Verona. Successivamente, nel 2008 è apparso il libro Il Soave oltre la zonazione – dalla ricerca ai cru, realizzato sempre dal Consorzio di Tutela, con Veneto Agricoltura e il Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura (CRA).

Entrambi i testi hanno dato vita a una mappatura dell’areale che ha sottolineato differenze enologiche da anni sotto gli occhi di tutti ma senza basi scientifiche di approccio e di comprensione. Nel novembre del 2015 poi, un ulteriore studio, pubblicato sempre dal Consorzio, nella collana de "I Quaderni di Vulcania”, dal titolo Soave Volcanic Wines, a cura di Aldo Lorenzoni e Giovanni Ponchia, quest’ultimo brillante tecnico del Consorzio dal 2005, con i contributi del Professor Attilio Scienza, del Pedologo Giuseppe Benciolini e del geologo Roberto Zorzin, ha mostrato come il violento lavoro dei vulcani abbia forgiato la geologia di questi luoghi. Le eruzioni si sono concentrate nell’Eocene, tra 565 e 33 milioni di anni or sono, accompagnate da un’attività tettonica a dir poco "burrascosa".

L'attività vulcanica iniziò a quietarsi circa 23 milioni di anni fa e 6 milioni di anni or sono hanno fatto capolino le rocce sedimentarie dall’antico mare in cui si trovavano: il paesaggio dell’odierno Soave prendeva forma. La litologia dei luoghi rivela oggi rocce di Scaglia Rossa, basalti, vulcanoclastiti, calcari nummulitici ricchi di fossili e materiale alluvionale depositato dai corsi d'acqua durante il Quaternario. Tali depositi, che si uniscono ai rilievi collinari attraverso delle conoidi di deiezione, sono il frutto dell’erosione e del conseguente trasporto di materiale da parte di fiumi e torrenti avvenuto nel Pleistocene (20mila anni fa), periodo in cui si contano cinque glaciazioni, tra cui quella di Würm, contraddistinta da intense precipitazioni che hanno provocato l'alluvione della Val d'Apone e delle altre zone pedemontane del veronese.

Tornando alle origini vulcaniche del territorio, formatosi da un’attività di tipo hawaiano (colate di lava basaltica fluida e formazione di plateau) dei monti Lessini Veronesi, cuore pulsante dell’attività eruttiva della zona, è fondamentale porre l’accento sulle proprietà di tali suoli in merito all’attività viticola. I basalti, ricchi in magnesio e ferro ma al contempo poveri di silicio, assimilano la quasi totalità dei fosfati aggiunti, ragion per cui la fertilizzazione va controllata e ridotta. Altra caratteristica sta nella forte capacità drenante di queste rocce, così come nella macro-porosità che consente uno stoccaggio delle risorse idriche pari al 100% del loro peso, con conseguente riserva per le radici della vite, principalmente in annate siccitose. Bianchi o neri che siano, vulcanici o calcarei, questi suoli risultano parimenti ottimali per il vitigno Garganega, perfettamente a suo agio, insieme al Trebbiano di Soave, nel declinare al massimo le potenzialità geologiche di questo complesso e affascinante paesaggio rurale.

Patrimonio d'Italia

Una bellezza premiata quella del Soave, giacché la DOP veronese è stata la prima, in Italia, a essere insignita del riconoscimento "Paesaggio rurale d'interesse storico" da parte dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali, istituito dal Ministero dell’agricoltura. Dopo lo studio e l'analisi di 123 zone produttive dell’agroalimentare italiano e considerate 35 candidature, con la dicitura "Le Colline vitate del Soave", l'Osservatorio Nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali ha accolto la designazione della denominazione veronese che, insieme a Conegliano-Valdobbiadene e al Parco Apenninico di Moscheta, entra nel registro dei paesaggi nazionali considerati patrimonio storico-rurale d’Italia. Un traguardo importante e una sorta di "assicurazione" per il futuro, perché, oltre al censimento dei territori, l’Osservatorio promuove attività di ricerca e predispone le linee guida per la tutela e la valorizzazione del paesaggio rurale con particolare riferimento agli interventi previsti dalla Politica Agricola Comune.

Nella zona classica della denominazione sono stati censiti 1.700 ettari coltivati secondo le tecniche della viticoltura eroica, con piante di oltre 100 anni, vero fiore all'occhiello di un territorio definito isola non urbanizzata nella campagna veneta.

"Si tratta di un grande risultato per la denominazione – afferma Aldo Lorenzoni – che si vede riconosciuta a livello nazionale la primogenitura quale comprensorio vitato storico. Il Consorzio, grazie alla collaborazione di Viviana Ferrario, docente allo IUAV di Venezia, è stato protagonista assoluto in questo percorso a partire dal 2006, quando, con la pubblicazione del volume Un Paesaggio Soave, ha aperto una riflessione a livello nazionale sul tema del paesaggio storico e della sua tutela. Questo riconoscimento pone quindi le basi per un nuovo approccio soprattutto da parte del legislatore nella ridefinizione degli strumenti di sostegno per la viticoltura in areali tanto particolari ed estremi, con l'auspicio di vedere messe a disposizione dei viticoltori di collina, opportunità di finanziamento specifiche".

Le degustazioni

Oltre che dalle caratteristiche delle uve, Garganega in primis, e delle tecniche di produzione, i vini assaggiati sono figli dei singoli ambienti pedoclimatici che caratterizzano le vigne di pertinenza. Così, al netto delle differenze di stile e di "mano" dei tanti e valenti produttori, per comprendere questi nettari è cruciale capire, zona per zona, in riferimento ai quattro areali sopra citati, come si comportano, in linea generale, piante e uve.

I vigneti ubicati sulle colline vulcaniche (50-550 metri di altitudine) presentano delle densità d'impianto molto fitte, con una parcellizzazione della superficie vitata di 0,3ettari per proprietà. L'età media delle piante è più alta rispetto alle altre aree e più del 50% delle viti ha almeno trent'anni. La Garganega dimora nel 95% dei fondi, il resto è Trebbiano di Soave, Chardonnay e Pinot Bianco. I vini hanno forza ed equilibrio, con sentori di spezie che vanno ad arricchire un quadro fruttato e floreale, dove mandorla e piccoli frutti, anche rossi, sono in netta evidenza. Importante la freschezza, fondamentale la vena sapida.

Le colline calcaree (50-200 metri di altitudine), al contrario di quelle vulcaniche registrano pendenze più morbide e forme di allevamento a spalliera. Le minori disponibilità idriche rispetto ai suoli prettamente basaltici contengono la vigoria della Garganega, protagonista assoluta della zona, regalando vini di grande appeal aromatico, con sentori di frutti tropicali e mediterranei in bella mostra, buon corpo e sostenuta acidità.

Le aree pianeggianti di origine vulcanica (30-100 metri di altitudine), in confronto alla medesima zona collinare, gli impianti mostrano una certa giovinezza, tra i 10 e i 20 anni d’età, frutto in molti casi del rinnovamento imposto dalla gelata del 1985. Le vigne, perlopiù Garganega, risiedono nelle conoidi di deiezione prima nominate e danno alla luce vini dalla spiccata freschezza e dagli aromi speziati e fruttati.

La pianura calcarea, infine, nelle aree di Illasi e Colognola, contraddistinte da un’altitudine appena più elevata rispetto al resto della zona (100-120 metri invece che 35-50), ospita vigneti di oltre trent’anni d'età caratterizzati da produzioni più misurate. Nel complesso i vini di quest'area sono spesso densi e segnati da evidente freschezza, soprattutto nella zona di Soave; più slanciate invece le strutture a Illasi e Colognola, ma sempre netti, eleganti, floreali e fruttati gli aromi con cenni addirittura di violetta.

Cosa aspettarsi quindi dai vini di Soave? Tanto e, per certi versi, tutto: poliedricità di struttura, equilibrio, golosità, eleganza, sapidità decisa e carezzevole morbidezza; insomma una vera "polisemia" di piaceri rinchiusi non in una parola ma in ogni singolo calice di vino.