Una terra vocata da millenni alla produzione di vini di qualità, l’entusiasmo di un imprenditore tedesco e un progetto avveniristico di rinascita alla base di una cantina che è orgoglio della viticoltura del Lazio
Durante una lunga passeggiata in quel magnifico anfiteatro vulcanico che sono le colline dei Castelli Romani, Anton Fran ziskus Boerner, industriale tedesco, per sonaggio della scena economica e politica europea, nonché grandissimo appassionato di storia e archeologia romana, trovò l’i spirazione per la genesi di un suo intimo sogno nel cassetto: ridare vita all’antico splendore di queste terre uniche ormai di menticate ai più. La realizzazione di tale anelito fu possibile grazie all’incontro con un fattore di cui ignoriamo il nome, che fece scoccare quella scintilla foriera, di lì a poco, di un fuoco ardente e creativo.
Il Dott. Boerner vedendo l’esposizione, le condizioni climatiche e le caratteristiche del suolo, non si capacitava di vedere, in un comprensorio come quello di Velletri, storicamente vocato a fare eccellenza, una viticultura così aggressiva, tutta orientata alla produzione quantitativa e di scarsa qualità. Notando la sua perplessità, il fattore gli si avvicinò chiedendo se ci fossero dei problemi e, così, iniziarono a chiacchie rare. Alla fine la spiegazione del fattore a tanto spreco di potenziale vinicolo fu che, semplicemente, nessuno voleva investire in quel territorio. Il dado era tratto e Boerner partì: così nasce Ômina Romana.Inizialmente venne rilevata un’azienda con 20 ettari, successivamente furono acquistati tutti gli appezzamenti confinanti fino al raggiungimento degli attuali 80 ettari a corpo unico. Si estirpò subito tut to, salvando esclusivamente le numerose piante di ulivo, anche centenarie, presenti in quel contesto. Per un anno si fece ripo sare il terreno, reso praticamente un de serto, e si iniziarono i lavori di rifacimento della cantina; nonché, cosa più importante, la mappatura e l’analisi dei suoli.
Prima di investire un euro Anton Franziskus Boerner si rivolse all’Università di Geisenheim e alla Facoltà di Agraria ed Enologia dell’Uni versità di Firenze, per avere la certezza che si potesse fare grandissima qualità. La conferma non tardò ad arrivare; si scoprì, infatti, che il terreno presentava quattro evoluzioni vulcaniche differenti, ben visibili ad occhio nudo, e così l’intero fondo fu diviso in 27 particelle con diversa tessitura e composizione chimica, in cui sono stati effettuati studi da 030 cm, 3070 cm e 70 150 cm di profondità per ognuna di esse. Oltre al suolo si analizzò anche il microclima della zona, con 20 colonnine meteorologiche, ognuna dotata di una foglia elettronica capace di replicare le condizioni delle vere foglie della vite, in modo da avere, anche in questo caso, una risposta scientifica sulle doti di un sito che, per storia, tradizione enoica e collocazione geografica, doveva avere tutte le carte in regola per fare qualità. L’azienda e le vigne si trovano infatti a ridosso della caldera del vulcano che va dal lago di Nemi a quello di Castel Gandolfo; di fronte, a circa 22 chilometri, c’è il mar Tirreno che apporta sempre una forte ventilazione, ripulita però della salse dine, che si deposita durante il tragitto e non raggiunge mai le piante, circostanza non da poco, giacché garantisce un terreno asciutto e salubre. Ad est troviamo i Monti Lepini che proteggono il sito dai fenome ni temporaleschi e, infine, il massiccio del Gran Sasso, distante circa 90 chilometri in linea d’aria ma che contribuisce, strano a credersi ma è stato dimostrato con tecniche scientifiche, alla formazione di una perfet ta escursione termica tra mattina e sera, rendendo più facile lo sviluppo della vite anche in presenza di un’estate molto calda.Con tutti questi dati alla mano si partì decisi nella scelta del materiale clonale da mettere a dimora, con sesti di impian to molto fitti per limitare il più possibile le rese. In base agli studi fatti si scelsero quindi quelle varietà più idonee alla realizzazione di una viticoltura d’eccellenza, anche se alcune di queste non diedero i risultati sperati – Madre Natura ha sempre l’ultima parola – così si dette spazio solo a quelle che effettivamente corrispondevano alle esigenze aziendali. Ad oggi le varietà prodotte sono Bellone, Viognier, Chardon nay e Incrocio Manzoni per i vitigni bian chi e Cesanese, Syrah, Merlot, Cabernet sauvignon e Cabernet franc per quelli ros si. La cura di questo “giardino” è affidata a Paula Pacheco (a destra nella foto sopra, insieme a Katharina Boerner, figlia di Anton), meticolosa agronoma di straordina ria capacità e competenza che, insieme alla sua affiatata squadra di circa 25 persone, riesce a gestire le bizzarrie stagionali con incredibile passione, utilizzando tecniche di avanguardia nel completo rispetto di un’agricoltura ecosostenibile al 100%. Inoltre poco più di un ettaro è dedicato, attraverso l’uso di particolari cannucce, al riciclo e alla depurazione dell’acqua usata in tutti i procedimenti aziendali, aspetto completato poi dall’utilizzo di pannelli fotovoltaici per produrre energia e limitare le emissioni di CO2.
Ovviamente la tecnologia è presente an che in cantina, per il solo fine di preservare al massimo le componenti dell’uva. In questo ambiente la palla passa nelle mani di Simone Sarnà e di Daniel. Il primo è un enologo appassionato e di assoluta competenza che non ha paura di sporcarsi le mani dedicando molto tempo alla forma zione e la spiegazione del suo operato; il secondo è l’energico, simpatico e affidabile cantiniere. In cantina non esiste un proto collo unico e inscindibile per ogni vitigno e vendemmia, ma, in base al mosto ottenuto, si decide il tipo di fermentazione e il relativo affinamento da eseguire. Capita molto spesso che la stessa varietà, raccolta in tempi diversi, abbia anche un iter di trasformazione differente. Nulla si sceglie per caso o per approssimazione. Oltre a serbatoi di acciaio inox termocondizionati per la fermentazione si usano tini troncoconici in legno di rovere, il vinificatore Ganimede per una maggiore estrazione polifenolica e l’Extravelvet, macchinario recentemente brevettato in collaborazio ne con l’Università di Enologia e Agraria di Firenze per un’estrazione più delicata e morbida dei tannini. Alcuni vini maturano in barrique rigorosamente di rovere francese, con tostature gentili e di primo passaggio: questo procedimento non è mai usato per ampliare nel vino profumi e/o altro, ma solo conferirgli quella maturazione e quella complessità atta a durare nel tempo, giacché il motto e filo conduttore è e rimarrà sempre la ricerca senza compromessi di qualità.
Tornando al nome, omina in latino vuoldire presagio positivo e per rappresentare tale profezia e allo stesso tempo il fuoco dell’antico Vulcano Laziale che ha generato le terre vinicole dell’azienda, si è scelto come simbolo la fenice, che non ha un passato negativo, perché risorge sempre dalle ceneri, ma solo un futuro roseo. Il termine romana, invece, è il marchio dell’identità, la firma del luogo e dello spazio agricolo e culturale da dove è partita la viticultura del mondo occidentale. Come il centurione che reggeva nella mano destra la vinea, bastone ricurvo del comando fatto con legno di vite, per ribadire il dominio di Roma come potenza stabile, duratura ed eterna, hic manebimus optime (qui staremo benissimo) e ci auguriamo che Ômina Romana, attraverso i propri vini contribuisca a dare la spinta necessaria a far risplendere di gloria questo territorio unico dalla storia millenaria.