Un gruppo addestrato che abbia superato lo stato di insieme di soggetti grazie a un opportuno addestramento e che sia diventato esso stesso soggetto unico, verosimilmente riesce a dare risposte più confortanti di fronte a specifici problemi
Nel n.11 del 2018 de L’Assaggiatore è comparso un articolo dal titolo Ruolo del contesto e della suggestione nell’assaggio dei vini; in esso si affermava, alla luce di diverse esperienze condotte da qualificati ricercatori, che alcune forme di contesto potevano agire pesantemente e in modo determinante nella valutazione dei vini. I dati riportati, pur essendo ottenuti in condizioni che potrem mo definire estreme, dimostravano che il “fattore contesto” non solo poteva spostare la valutazione del vino di qualche decimo di percentuale, ma addirittura falsare totalmente il giudizio formulato. Le considerazioni riportate potrebbero, mi auguro che non sia così, avere indotto qualche amica/o assaggiatore a ritenere che ci siano sempre e comunque dei fattori imponderabili in grado di vanificare la corretta valutazione diun vino e che l’assaggio sia nei fatti ingestibile. Personalmente fui incuriosito e sorpreso da un articolo di Dario Bressanini (cfr. la bi bliografia),nel quale si riferiva di un lavoro svolto dal prof. Robert Hodgson, emerito di statistica alla Humboldt State University di California, riguardante l’attività di soggetti appartenenti a diverse categorie professionali, che si suole definire, per la loro attività di assaggiatori, esperti. Hodgson si propose di verificare la ripetibilità dei giudizi degli assaggiatori mediante una serie di assaggi effettuati in un certo arco di tempo. Il prof. Hodgson aveva a disposizione gli esperti assaggiatori e i vini del concorso vinicolo della Fiera dello Stato della Californiae, dunque, una quantità più che adeguata di possibili dati utili. Gli assaggi furono condotti “alla cieca”, come più o meno avviene in tutti i concorsi. Quali furono i risultati? Solo il 10% dei responsi degli assaggiatori si rilevarono corretti; inoltre, questo dato non era stato ottenuto dagli assaggiatori più dotati, ma risultava del tutto casuale. Al contrario si osservò una forte ripetibilità di giudizi nei confronti dei vini difettosi, dato confermato da numerose altre osservazioni. Così, con cludeva l’Autore, con lieve e direi soddisfatto accento polemico: «a sentirsi un po’ punti sul vivo invece sono stati soprattutto i wine writers persone che scrivono di vino, su web, riviste e giornali e magari recensiscono vini dando punteggi…».
Che cosa c’è che incuriosisce e sorprende in questa ricerca di Hodgson? C’è il contrasto fra quest’esperienza così ben documentata e la mia di coordinatore di gruppi di assaggio. La mia impressione, infatti, è che la situazione non sia sempre quella appena descritta e che in condizioni opportune sia possibile fornire risposte corrette e ripetibi li. L’aspetto della ripetibilità non è di per sé particolarmente importante: a quanti assaggiatori, esperti o meno, è toccato di dover riconoscere un vino sette giorni dopo averlo assaggiato per la prima volta? Credo ben raramente, ma il fatto mette in discussione l’attendibilità della valutazione sensoriale. Come potremmo valutare la qualità di un vino se il nostro giudizio non è affidabile? Come potremmo descrivere le componenti olfattive di un vino se non veniamo ritenuti capaci di coerenza tra la percezione e la parola? La mia esperienza è che, operando in condizioni opportune, ovvero in un contesto appropriato, con informazioni corrette, strumenti di valutazione finalizzati allo scopo che si vuole raggiungere e assaggia tori preparati, non sono sicuro che si possa risolvere il problema del riconoscimento di un vino, trascorso un certo tempo, ma ho buoni motivi per credere che si possano fornire risultati ragionevolmente affidabili. Nei casi che prenderemo in considerazione accenneremo al ruolo che assume la preparazione e l’addestramento del gruppo di as saggio per la definizione delle caratteristiche sensoriali dei vini e la loro comparazione.
L’addestramento
La formazione di un assaggiatore è importante e si basa, fondamentalmente, sull’interesse/passione che un soggetto ha di utilizzare i propri sensi per vivere e apprezzare nel modo più ampio possibile la relazione che stabilisce con l’ambiente, nella convinzione che l’utilizzo dei sensi possa consenti re un accesso migliore alla realtà circostante per trarne maggiore conoscenza, benessere, gratificazione ecc. Questo vale per il tatto, il senso più diffuso, per l’udito quando si ascolta una bella musica, per la vista quando si legge un bel libro, per l’olfatto quando si annusa un buon vino, per il gusto quando si apprezzano gli odori e i sapori di un piatto dintaglierini al tartufo ecc. L’addestramento dei sensi alla conoscenza della realtà percepibile, magari un giorno, potrebbe essere materia d’insegnamento scolastico. Se è vero che nessuno nasce “imparato” è, a maggior ragione, vero che nessuno nasce, seppur dotato di opportuno apparato sensoriale, assaggiatore. Assaggiatori si diventa e se l’addestra mento non è continuo è verosimile che l’attitudine all’assaggio si riduca e regredisca. Per seguire il percorso di preparazione all’assaggio, ben delineato nei Corsi preparatori dell’ONAV, tanto per fare un esempio noto ai più, esistono appositi programmi che hanno lo scopo di consentire al soggetto di considerarsi un assaggiatore qualificato, in quanto consapevole della propria prepara zione e di garantire la porzione di collettività che gli sta attorno che il medesimo ha acquisito una preparazione specifica che lo autorizza a dire ciò che dice. Di fatto l’ONAV organizza mirabili corsi per la preparazione degli assaggiatori e poi, nel tempo, segue un continuo programma di addestramento/ conoscenza attraverso il lavoro svolto nelle sezioni locali. A costoro ho poco o nulla da aggiungere, ma potrebbe essere utile sapere come si sviluppa il percorso preparatorio e di addestramento in una disciplina affine che si ritiene sia stata, per così dire, concepi ta più o meno negli stessi anni in cui è stata fondata l’ONAV: gli anni ’50. La disciplina in questione è l’analisi sensoriale. So bene che qualcuno potrebbe arricciare il naso e affermare: ancora ‘sta analisi sensoriale? Se esistessero altre discipline di riferimento le citerei volentieri, ma io non le conosco e non mi pare ragionevole rinunciare a quanto questa disciplina può dare per comprendere meglio la degustazione.
Nella fattispecie, quanto segue, può essere importante per condurre a buon fine il discorso sul ruolo che l’addestramento dei giudici/assaggiatori esercita nell’assaggio dei vini. Così sia e proseguiamo con le considerazioni, sia pure sommarie, su alcuni aspetti caratteristici.L’aspetto forse più vistoso sta nel fatto che nella degustazione è predominante l’impiego di termini ed espressioni di tipo metaforico, mentre nell’analisi sensoriale i termini di tipo traslato vengono preliminarmente scartati. Però quando l’assaggiatore “mondano” – nel senso che vive nel mondo (tempo presente) e ne segue i costumi – rileva un odore di “pesca croccante”, mentre il suo collega giudice percepisce un odore di “pesca”, a prescindere dalla modalità espressiva, l’odore di pesca lo hanno avvertito entrambi. In questa sede non trattiamo della modalità espressiva, ma di quella percettiva che do vrebbe accomunare giudici e assaggiatori. Un altro aspetto importante è rappresentato dal fatto che la preparazione e l’addestramento all’assaggio, nell’analisi sensoriale, riguarda il gruppo (panel), mentre l’assaggiatore/sommelier opera singolarmente con un linguaggio proprio e le proprie capaci tà percettive. Tutto questo è vero, ma nes suno vieta che in occasioni particolari o di addestramento o di verifica delle capacità di degustare si possano organizzare anche in ambito associativo sedute di assaggio che prevedano la formazione di gruppi. L’addestramento del singolo prescinde dal fatto che si operi in un gruppo o in una commissione. Dunque risolti in qualche modo due appariscenti problemi di distinzione dei due procedimenti di assaggio dei vini (ne esistono altri) possiamo procedere più o meno tranquilla mente. Altri aspetti, come l’impiego della statistica, sono specifici di una disciplina soltanto, mentre la degustazione, a ragione, non rientra nell’addestramento del soggetto. Un elemento di solito poco considerato è la selezione del gruppo di assaggio. Abitualmente, si considera, che i candidati debbano essere circa 3 volte tanto più numerosi dei costituenti del gruppo definitivo. Attenersi a questo principio non è facile. Si è portati a credere che la selezione effettuata serva a in dividuare i super dotati sensorialmente, quelli che hanno conseguito in talune prove se lettive il punteggio più elevato, compensato, magari, da qualche deficienza, ma non è così.
Di solito la scelta cade su quanti hanno valori positivi, ma attorno alla media. Perché? Il giudice abile, ma non eccelso, rappresenta statisticamente meglio il consumatore e, soprattutto, questo giudice, in genere, ha punteggi omogenei in tutte le prove, mentre abitualmente quello eccelso raggiunge livelli altissimi nelle performance relative ad alcuni parametri, ma al di sotto dei valori medi in altri. Nella maggior parte dei casi questo problema non si pone perché non si può scegliere e si prende quel che passa il convento, purché se ne sia accertata l’attitudine all’assaggio. Quali sono queste prove? Cosa deve fare un soggetto per assumersi la re sponsabilità di divenire assaggiatore o giudice? Deve individuare e descrivere i colori, gli odori e i sapori dei vini, dunque le prove selettive verteranno su questi 3 aspetti sensoriali, giocando sulle concentrazioni ed eventualmente sulle misure delle intensità. Ora è scontato che il lettore di questa rivista non è particolarmente interessato alle prove selettive giacché ha superato questa fase, ma può essere utile segnalare alcuni test che si potrebbero eseguire in cucina, nella cantinetta o in soggiorno, quando alla TV pro grammano qualcosa che non piace.
Questi test sono per lo più molto semplici e di piacevole esecuzione. Lo scopo è, mi sembra intuitivo, di fornire all’assaggiatore alcuni strumenti per verificare la propria condizione e se lo desidera di aggiornare il proprio addestramento. Limitiamoci ai sapori e agli odori del vino. Un test di facile esecuzione (abbisogna di bicchierini da caffè “usa e getta”, di acqua non gasata, di una tovaglietta di carta, in pratica di un foglio di carta, dei principi attivi) potrebbe essere quello di riconoscimento dei sapori, facilmente repe ribile in bibliografia e riportato in Tab. 1. Come si può constatare si tratta di un test molto semplice con i quattro gusti classici del vino. Un secondo test piuttosto utile potrebbe essere quello per il riconoscimento dei gusti semplici (un gusto alla volta). Anche in questo caso avremmo 10 bicchierini
Sequenza dei bicchierini | Sapori | Concentrazioni | Principi |
1 | Acido | 0,2 g/L | acido citrico |
2 | Dolce | 4,0 g/l | saccarosio |
3 | Acido | 0,3 g/L | acido citrico |
4 | Amaro | 0,2 g/L | caffeina |
5 | Salato | 0,8 g/L | cloruro di sodio |
6 | Dolce | 6,0 g/L | saccarosio |
7 | Amaro | 0,3 g/L | caffeina |
8 | Solo acqua |
|
|
9 | Salato | 1,5 g/L | cloruro di sodio |
10 | Acido | 0,4 g/L | acido citrico |
Tab.1 – Schema proposto per l’esecuzione della prova di riconoscimento dei sapori del vino
da caffè “usa e getta”, contenenti ciascuno dosi crescenti di un unico principio chimico cui corrisponde un gusto specifico. Rimanendo a questi dati e considerando il gusto salato avremo nel bicchiere 1, acqua; nel 2, la concentrazione di 0,4 g/l di cloruro di sodio, e così via sino al bicchiere n. 10 dove avremo 2,0 g/l di sale con un incremento di 0,2 g. per ogni bicchiere. Questo test, altrettanto semplice e applicato distintamente e separatamente ai 4 gusti ci potrebbe consentire di conoscere la nostra soglia di percezione: momento in cui individuiamo, nel bicchierino, qualcosa di diverso dall’acqua, e, poi, di identificazione (o riconoscimento) livello al quale identifichiamo correttamente il sapore in questione. Questa prova non è specifica del vino, ma lo diviene se consideriamo parametri prettamente enologici.
Un ultimo test che credo possa essere utile lo traiamo dai metodi discriminatori in uso in analisi sensoriale: il Duotrio test. Il procedimento, già descritto in un precedente numero de L’Assaggiatore, cui rimando, è di semplice esecuzione: una tovaglietta di carta, un foglietto su cui appuntare la domanda, 3 bicchieri uguali tra loro e due campioni di vino simili, ma non uguali per qualche parametro, tra questi si dovrà scegliere quello da sottoporre ad analisi discriminante. Come detto i vini a confronto sono due. L’assaggiatore fa versare da una terza persona un vino in due bicchieri (uno di essi rap presenterà il testimone T) e il restante vino nel 3° bicchiere. Dopodiché l’assaggiatore dovrà individuare il campione diverso da T. Il procedimento in questione, discriminante, è frequentemente impiegato per distinguere un prodotto da un altro con un esito finale che prevede l’impiego di tabelle apposite. A noi l’applicazione statistica non interessa, né potrebbe applicarsi a un solo dato, ma il test può essere utile per saggiare le eventuali attitudini del soggetto: riesce a distinguere più facilmente i sapori dei vini bianchi o quelli dei rossi? I vini affinati o quelli giovani? I sapori o gli odori? ecc. Tutto serve a conoscerci meglio.
Procedimenti analoghi li possiamo applicare nell’ambito olfattivo dove, però, abbiamo il problema degli standard ovvero di quelle soluzioni che ci confermano che l’odore avvertito è proprio quello. Esistono in commercio dei preparati già belli pronti che arrivano a una sessantina di odori circa, altrimenti, con un po’ di esperienza, si possono preparare a casa propria ponendo in soluzione alcolica (ovviamente alcol puro, non denaturato) la sostanza di cui ci interessa l’odore, oppure si possono adottare gli standard, piuttosto semplici, proposti da Ann Noble et Al. Nella Tab. 2 viene riportato un esempio di soluzioni standard realizzate dall’Autrice californiana
1° livello | 2° livello | 3° livello | Soluzioni di riferimento |
Fruttato | Agrumi | Pompelmo | 5 ml di succo e una scorzetta di frutto fresco in 25 ml di vino |
|
| Limone | come sopra |
| Bacche | More | 12 frutti freschi o congelati in 25 ml di vino rosso |
|
| Lampone | come sopra |
|
| Fragola | come sopra |
|
| Cassis (ribes nero) | 10 ml di cassis in 25 ml di vino |
| Drupe | Ciliegia | 10 ml di sciroppo di ciliegie in 25 ml di vino rosso |
|
| Albicocca | 1520 ml di nettare di albicoc ca in vino bianco |
|
| Pesca | 1520 ml di nettare di pesca in vino bianco |
|
| Mela | Una fettina di mela fresca o 5 ml di succo in 25 ml di vino bianco |
Tab.2–In questa tabella si propone una esemplificazione delle modalità con cui AnnNoble suggerisce di preparare le soluzioni olfattive. L’intera lista dei descrittoti e dei relativi standard sono reperibili in bibliografia
Tiriamo le fila di quanto sin qui scritto. Si sono visti alcuni procedimenti, sostanzialmente derivati dalla disciplina dell’analisi sensoriale, che potrebbero essere applicati nella vita di tutti i giorni, senza troppo sforzo, ma che di fatto qualunque assaggiatore che sia tale per piacere suo e non per professione difficilmente proverà a realizzare. Per ché allora dedicare alcune pagine a queste esercitazioni? Non nascondo che la speranzella che qualcuno possa trarre giovamento da questi suggerimenti esiste. Desidero ribadire, però, che l’analisi sensoriale, più o meno, “fai da te”, è praticabile e può aiutare a capire il vino, ma non sempre a comunicarlo.
Le verifiche: caso Bardolino
Ciò non vieta che dall’una o dall’altra disciplina possano ottenersi delle informazioni utili all’esercizio di entrambe. È il caso, ad esempio, del ruolo che esercita l’addestra mento del gruppo di assaggio, che è problema dell’analisi sensoriale, ma che credo possa interessare anche chi si occupa di degustazione.
In Fig. 1 si propone un grafico a “radar” riguardante un assaggio comparato fra 12 campioni di vino Bardolino appartenenti alla zona a DOCG e altrettanti provenienti invece dalla porzione di area definita Classica. Come si può osservare, si direbbe che i due profili siano sovrapponibili e il risultato parrebbe accettabile, vediamone il significato. La veridicità del responso trae conforto in primo luogo dall’attendibilità degli assaggiatori, ovvero dall’addestramento con il qua le il panel è stato preparato per l’esecuzione dell’assaggio medesimo. Nel dettaglio i giudici facevano parte del gruppo di assaggio dell’Istituto sperimentale per l’enologia di Asti (ora CRAECentro di ricerca VITE NO) con un percorso di addestramento simile a quello prima sommariamente descritto, persone dunque preparate a individuare descrittori e a misurarne l’intensità, avvezzi all’uso della scheda, inoltre, i soggetti erano totalmente estranei, qualora ne esistessero, alle suggestioni e alle problematiche normative eventualmente presenti presso i colleghi del Consorzio del Bardolino. È ovvio che tra questi certamente c’erano produttori e assaggiatori tra i più qualificati a valutare la tipicità del vino gardesano, ma non necessariamente avvezzi all’assaggio secondo i canoni dell’A.S. In breve, il panel risultava costituitononda“semidei”della degustazione, ma da onesti professionisti consapevolie preparati. La evidente sovrapposizionedei profili di Fig. 1 potrebbe far obiettare, anche sensatamente, che il gruppo di assaggio predisposto non avesse discriminato i due gruppi di vino perché non in grado di apprezzare sul piano quantitativo (misure delle intensità) le differenze, oppure che le misure espresse appartenessero a un utilizzo casuale della scala, sicché sempre per caso tutte le misure risultavano uguali (ipotesi fantascientifica, ma teoricamente possibile). La Fig.2, mette in fuga le nostre perplessità, infatti, ci dimostra chiaramente che il gruppo di assaggiatori, quando richiesto, è stato in grado di individuare le differenze quantitative di ordine sensoriale tra il campione definito più gradevole e quello definito meno (il che non significa affatto che quest’ultimo osse sgradevole). Possiamo dunque ritenere con ragionevole convinzione che il gruppo fosse in grado di distinguere vini diversi e pertanto anche quelli uguali. Si può ritenere che il giudizio sull’identità dei vini Bardolino a DOCG e Classico sia giustificata.
Fig. 1 – Presentazione dei dati medi riguardanti i profili sensoriali del Bardolino a DOCG (12 campioni) e del Bardolino a DOCG (12 campioni) della zona Classica. In azzurro il profilo DOCG e in verde quello della Zona Classica
La Fig. 2 propone l’esito del confronto fra il Bardolino della campionatura in esame (DOCG + zona Classico) risultato più gra devole e quello della medesima campionatura ritenuto qualitativamente inferiore. Naturalmente non siamo in grado di stabilire quale era la qualità dei due prodotti, ma le differenze riscontrate sono unicamente di ordine quantitativo, misure dell’intensità, e ciò fa supporre che il riferimento alla tipologia sia rispettato. Se, dunque, il nostro gruppo, in condizioni di assaggio non credo ottimali ma comunque sufficientemente buone, è riuscito a definire i due livelli della gradevolezza estremi, è presumibile che sia stato in grado di valutare con analoga pro fessionalità il quadro medio sensoriale del Bardolino a DOCG e quello dello stesso vino derivato da uve della zona Classica.
La pressoché totale sovrapposizione dei profili contiene un messaggio: un gruppo costituito da persone preparate ed esperte del vino (che loro stesse hanno identificato nelle componenti sensoriali) è in grado di evidenziare sia le identità che le differenze e costituisce un insieme di assaggiatori che si può ritenere affidabile, così come i responsi che fornisce si possono, conseguentemente, considerare ragionevolmente attendibili. Possiamo concludere questo primo esame dei dati quantitativi sottolineando il ruolo dell’addestramento specifico alla valutazione quantitativa (misure delle intensità) come fattore di assoluta e determinante importanza.
Le verifiche: caso Cannonau
Queste considerazioni, a mio parere, vengono ulteriormente rafforzate e giustificate dall’esame dettagliato dell’esperienza che viene di seguito descritta. Ci spostiamo dal la sponda del lago di Garda veronese a quella del mare della Sardegna del Sud per illustrare un interessante serie di dati. Alcuni anni or sono vennero condotte alcune atti vità di tipo didattico e formativo in collaborazione con l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Sardegna. Si trattava, in un congruo arco di tempo, di addestrare il personale interessato dell’Assessorato all’assaggio del vino secondo i principi dell’analisi sensoriale. Partecipava ai seminari, in primo luogo, il personale tecnico in qualche modo interessato alla produzione vinicola, ma anche qualche privato produttore o addetto alle vinificazioni e alla conservazione del vino. In breve, si trattava di soggetti motivati, in molti casi, già praticanti o addirittura esperti nella degustazione. Il gruppo, nel complesso, era costituito da persone in età lavorativa per 2/3 uomini e per il restante terzo donne. Ovviamente, con l’occasione si assaggiarono e si descrissero molti vini sardi. L’ultimo fu il Cannonau. Al termine di quest’esperienza di immersione totale vissuta dal lunedì al venerdì, si ritenne utile, data la possibilità, di frazionare il gruppo piuttosto numeroso dei partecipanti in altri 3 di dimensioni ridotte, ma sempre sufficienti nel numero delle unità. Il seminario si svolgeva in una struttura costituita da un ampio salone dedicato alle conferenze, dotato di attrezzature (tavoli e sedie) mobili, separato dai laboratori e non disturbato da quanti nei laboratori stessi lavoravano; il silenzio era notevole, talvolta solo incrinato dal vento che spettinava gli eucalipti. In quell’occasione, però, a Villa sor c’eravamo solo noi e il Cannonau e gli eucalipti se ne stavano tranquilli.
Il gruppo dei discenti, 21 persone, venne, come detto, suddiviso in 3 gruppi seguendo il criterio della assiduità sia alla fase didatti ca che a quella delle esercitazioni: il gruppo di assaggiatori n.1 (7 persone) era costituito da quanti, per ragioni d’impegno varie, avevano preso parte all’addestramento soltanto in qualche occasione; i gruppi n.2, (7 soggetti) e n.3 (anch’esso di 7 soggetti) erano costituiti da dipendenti della Regione o di enti affiliati sempre presenti perché i giorni del seminario risultavano per loro giorni lavorativi, tanto che sia la fase didattica che le esercitazioni dovettero uniformarsi al loro orario di lavoro. Il gruppo nell’insieme identificò, su un numero congruo di campioni, i descrittori, venne costituita la scheda secondo il model lo della Noble e si procedette, quindi, all’assaggio di altri 6 campioni di Cannonau da parte dei 3 sottogruppi precedentemente individuati. Sottolineo che il panelleader conosceva molto superficialmente le persone presenti e la ripartizione nei tre gruppi rispondeva al solo criterio presenza assidua e presenza casuale all’addestramento. Gli esiti dell’assaggio sono stati riportati in Fig. 3.
Come si può facilmente constatare i gruppi 2 e 3 hanno fornito delle rappresentazioni molto simili, si direbbe che i loro profili abbiano un andamento quasi sovrapponibile e possiamo dire che i loro giudizi sono una buona dimostrazione, a livello del buon senso, delle “ripetibilità” (il risultato viene ripe tuto da 2 gruppi diversi) del risultato.
Il gruppo n.1 si è comportato senza le stesse regole e l’esperienza dei singoli non è parsa sufficiente per condurre un assaggio attendibile nel risultato. La dimostrazione più evidente, fra le non poche possibili, si può riscontrare nelle figure che seguono. I dati raccolti vennero analizzati con il Testdi Friedman, metodo di analisi dei dati di tipo non parametrico equivalente, in questa categoria, a quello dell’Analisi della Varianza in ambito numerico. Successivamente le misure delle intensità dei singoli descrittori, sono state esaminate e sottoposte al metodo delle correlazioni “r” di Pearson al fine di saggiare eventuali connessioni fra i vari parametri del quadro aromatico e gustativo. I dati relativi a queste correlazioni sono stati riportati nelle Fig.4, 5 e 6.
Fig. 3 – Confronto fra i profili realizzati sugli stessi campioni di vino Cannonau da parte di 3 gruppi di assaggiatori. Due di questi gruppi (2arancione e 3grigio) hanno seguito un percorso didattico e un addestramento comune
Fig. 4 – Gruppo 1. Correlazioni di Pearson osservate fra le misure delle intensità dei parametri odore di Prugna e Colore violaceo. Secondo questo gruppo la correlazione è negativa (0,19). Ovvero al crescere dell’intensità di un parametro diminuisce l’intensità dell’altro. Infatti, come si può osservare (asse Y), il segmento parte da poco sopra 30 e scende verso il 20. Dunque, secondo questi assaggiatori, più si evidenzia l’odore/aroma di prugna più diminuisce l’intensità del colore violaceo. Si tratta probabilmente di misure espresse a caso e con poca attenzione
Fig. 5 – Gruppo 2. Riguarda gli esiti del Gruppo n. 2, il criterio di valutazione per gli stessi parametri del Gruppo n.1 è all’opposto. Infatti, al crescere dell’intensità di un parametro cresce anche quella dell’altro con un indice di Pearson piuttosto alto 0,630. Infatti, come si può osservare il segmento parte da circa 6/7 (asse Y) e giunge sino a quasi 50
Fig. 6 – Gruppo 3. Abbiamo una situazione analoga a quella osservata in precedenza. La correlazione è positiva, ma l’indice di Pearson è inferiore (0,251), pertanto l’inclinazione, come si può vedere, è inferiore alla precedente. Infatti l’inizio del segmento è poco sopra 30 (asse Y) e termina poco sopra il valore 45
A prescindere dai dati quantitativi, ciò che interessa è rimarcare come il Gruppo 1 abbia adottato un metodo di valutazione che è all’opposto di quello messo in opera dagli altri due che, concordemente, hanno consi derato che l’intensità del parametro olfattivo Prugna cresce all’aumentare dell’intensità del parametro visivo Riflessi violacei. Direi che questa correlazione corrisponde a una valutazione corretta, perché una maturità dell’uva superiore comporta l’aumento dell’intensità cromatica e olfattiva.
Proseguiamo con un ulteriore esempio, fra i molti possibili, per dimostrare a spanne che i dati del Gruppo 1 non risultano, giustificatamente, attendibili al contrario di quelli dei Gruppi 2 e 3. Mi riferisco ancora a due parametri olfattivi (Prugna e Ciliegia) le cui intensità dovrebbero crescere concordemente con la maturazione dell’uva. Le Correlazioni di Pearson osservate fra le misure delle loro rispettive intensità sono visibili nelle Fig. 7, 8 e 9.
Secondo il Gruppo 1, i parametri olfattivi Prugna e Ciliegia non sono correlati e all’aumentare dell’uno non si osserva l’aumento dell’intensità dell’altro. L’indice di Pearson infatti è negativo 0,045. Come si può vedere, il segmento che traduce graficamente la serie dispersa dei punti corre pressoché orizzontale. Anche in questo caso è difficile capire il significato di questa correlazione, come se le due caratteristiche olfattive fossero indipendenti. Queste correlazioni ci rivelano che la preparazione e l’addestramento sono importanti perché influiscono in maniera determinante sul comportamento di un gruppo d’assaggio. Come si è visto quello meno addestrato si è distinto nettamente nella interpretazione del vino dagli altri due, sia nelle circostanze osservate sia in numerose altre che qui non si è ritenuto utile riportare per questioni di spazio. Il metodo delle correlazioni non ha, come strumento, lo scopo di dimostrare l’attendibilità degli assaggi. Si tratta di un procedimento impiegato per individuare tendenze con grandi numeri e serve a capire ciò che a prima vista è incomprensibile. Nel caso del nostro impiego si tratta di un adattamento a situazioni specifiche.
Fig.7 – Correlazioni fra i descrittori Prugna e Ciliegia espresse dal Gruppo di assaggio n.1
Fig. 8 – Per il gruppo di assaggio n. 2, invece, i descrittori Prugna e Ciliegia presentano intensità tra loro correlate, sicché all’aumento dell’una corrisponde quella dell’altra. L’indice di Pearson è positivo 0,413. Il segmento parte da poco sotto 30 (asse Y) e giunge quasi a 60
Fig. 9 – Il giudizio del Gruppo 3 è simile a quello del precedente con un indice di poco superiore 0,059 (il massimo è 1,00). Il segmento parte da poco sotto 30 (asse Y) e tocca quasi il livello 60
Conclusioni
Quest’articolo è motivato da alcune osservazioni reperibili in alcune fonti bibliografiche che, in qualche modo, facevano attrito con le esperienze che avevo vissuto in prima persona nell’arco di oltre trent’anni di attività professionale. Mi riferisco, nello specifico, all’articolo di Dario Bressanini dell’apri le 2014, dal titolo Quanto sono esperti i giudici ‘esperti’ assaggiatori di vino? L’A. riferisce di una prova effettuata in California riguardante il riconoscimento dei vini assaggiati a distanza di un tempo relativamente breve. Per non farla lunga, sarebbe emerso che gli esperti assaggiatori non sarebbero stati in grado di riconoscere i vini assaggiati qualche tempo prima e laddove il riconoscimento era avvenuto si sarebbe trattato di casualità. Questa situazione mi ha indotto a riflettere non sul risultato descritto, che è indiscutibile, ma sull’affidabilità di chi a titolo vario assaggia i vini. Sull’edizione del mio dizionario (il Migliorini) il sostantivo “affidabilità” non è riportato (al contrario lo troviamo in tre opere edite da Zanichelli), ma si legge la parola “affidamento” molto prossima al significato del nostro sostantivo; per arrivare al dunque col quasi neologismo “affidabilità” si potrebbe intendere: «fondata speranza o fiducia in qualcosa o, forse meglio, in qualcuno». Se siamo d’accordo, potrebbe trovare un possibile sinonimo nell’aggettivo “attendibile” che il Dizionario definisce così: «che merita d’essere creduto» anche se, il medesimo di zionario, subito avverte che la voce sarebbe biasimata dai puristi. Oh, che dolore!
Il significato di affidabile/attendibile sarebbe, nello specifico del vino e dell’assaggio, indi viduabile in un atteggiamento razionale che consiste nell’avere fiducia nella possibilità di formulare un giudizio corretto o una valuta zione convincente accertate alcune condizioni operative preliminari. La fiducia non deve però scivolare nel fideismo cieco e irrazionale e, perché ciò non avvenga, è opportuno sottoporre ai criteri della ragione due aspetti: uno è relativo alla persona, per dirla in fretta, è utile sapere se è preparata, onesta, non di parte ecc. e il secondo è relativo al metodo: consente il procedimento adottato di raggiungere lo scopo? Con queste brevi note si è cercato di valutare, sia pure empiricamente, senza ricorrere ad algoritmi o a soluzioni statistiche più o meno avanzate, se l’assaggiatore in condizioni certo non ideali, ma comunque nemmeno lontanissime da esse, è in grado di fornire delle risposte sensoriali accettabili da parte di quanti al suo giudizio si affidano. In analisi sensoriale il problema si sposta dal singolo al panel che non è soltanto un insieme di assaggiatori che singolarmente presi potrebbero risultare più o meno affidabili, ma è una realtà che, sottoposta a uno specifico addestramento,funzionacomeununico soggetto. Il primo caso che si è considerato è un confronto fra vini Bardolino DOCG e della zona Classico. Per verificare la attendibilità del risultato si è osservato il curriculum del gruppo (gruppo d’assaggio dell’exIsen di Asti). Si trattava di un panel che aveva una buona preparazione e un buono e continuo addestramento, era distante dai possibili problemi dell’area in questione, padroneggiava le scale di misura delle intensità e risultava capace di distinguere adeguatamente, sullesca le adottate, i valori che contraddistinguevano il migliore e il meno gradito dei Bardolino in esame. Ora, pur senza l’apporto della statistica, si è potuto ammettere che i giudici erano affidabili e il giudizio emesso era lecito considerarsi sostanzialmente corretto. Teniamo conto, poi, delle ripetizioni. Non si è trattato di una valutazione della qualità, ovvero di un giudizio globale espresso una volta e praticamente del tutto soggettivo, ma di misure delle intensità, quindi quantità, espresse tante volte quanti erano i descrittori, nella fattispecie 9 giudizi distinti per ciascun campione di vino, nello specifico pressoché coincidenti. Il secondo esempio riportato riguardava il Cannonau di Sardegna. Il caso in questione ci offre l’opportunità di verificare, sia pure con una certa approssimazione, la “ripetibilità” del risultato e la “riproducibilità” del metodo tramite l’assaggio degli stessi vini da parte di due gruppi resi omogenei mediante l’addestramento. L’omogeneità dei giudizi de riva dalla preparazione e dall’addestramento comuni. Il gruppo d’assaggio n.1 è per questa ragione (frequenza sporadica delle fasi di addestramento) disomogeneo e, come dimostrano i dati delle correlazioni di Pearson, non padroneggiando la scheda ha fornito delle misure delle intensità che si direbbero casuali. In entrambi i casi per l’interpretazione delle misure delle intensità si è impiegato il test di Friedman, non parametrico che utilizza i ranghi, particolarmente “robusto” e utile nel caso di serie di dati come quelli di tipo sensoriale. La degustazione, per natura sua, prescinde dall’applicazione di metodi statistici, l’analisi sensoriale è strutturata in modo tale da non avere senso se non con il contributo dell’elaborazione matematica. In questo lavoro non si sono considerati dei dati dell’analisi sensoriale, ma si sono considerati i risultati da essi ottenuti con un occhio volto ai problemi della degustazione, in primo luogo, non gli aspetti quantitativi misurali con opportune scale, ma il criterio della valutazione di un vino alla luce del buon senso. Non si è, pertanto, giunti a conclusioni inedite o travolgenti, si è solo ribadito quel che è noto da tempo, ma che comunque è opportuno, ogni tanto, ribadire: la degustazione è in grado di fornire descrizioni ragionevoli delle caratteristiche sensoriali di un vino, ma non si può prescindere dall’addestramento dell’assaggiatore o del giudice. Morale della favola: verosimilmente, se negli assaggi compiuti in California anziché avvalersi di singoli assaggiatori, sia pur esperti, avessero costituito un gruppo di assaggio opportunamente addestrato, probabilmente il risultato sarebbe stato diverso e forse i ricono scimenti sarebbero stati più numerosi. La de gustazione ha un limite strutturale insuperabile nell’assaggiatore stesso: la soggettività che, tuttavia, non è una costante per cui si fa la tara e se ne tiene conto, ma è mutevole essa stessa a seconda del contesto e delle circostanze.
Un gruppo che abbia superato lo stato di insieme di soggetti grazie a un opportuno addestramento e che sia diventato esso stesso soggetto unico, verosimilmente e più facilmente riesce a dare risposte più confortanti di fronte a specifici problemi. Personalmente non sono in grado di stabilire se l’enologia sia un’arte o una tecnica, né credo che questa sia la sede migliore per discuterne, ma ritengo di non essere lontano dal vero nel ritenere che la degustazione, quando è fonte di gratificazioni e si identifica con la parola del vino, può rappre sentare una forma di manifestazione dell’arte e tutti sappiamo che l’arte procura benessere a chi riesce ad apprezzarla; ma quando la riduciamo a pura tecnica, i risultati non sempre sono altrettanto soddisfacenti.
Cara Lettrice e caro Lettore, se quanto precede è di qualche interesse e non vi è dispiaciuto, «vogliatene bene a chi l’ha scritto, e anche un pochino a chi l’ha raccontato. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta». Prosit!