Ci sono date nella storia che rappresentano dei veri spartiacque. Nei secoli recenti chi non ricorda il 1789 e la Rivoluzione Fran cese? O i moti del 1848, tanto che ancora qualcuno per dire che c’è stata confusione dice «è stato un quarantotto»? E la guerra del ’15’18? Nel mondo del vino le cose sono legate alle annate. Così il ’55, il ’58 e il ’64 sono forse state le prime davvero importanti per la storia recente dei vini italiani di qua lità. Ma ce n’è una che mette insieme molte cose, vinose e non. È il 1968.

Una data che ha voluto dire il cambio di un’epoca, innanzi tutto, con il famoso “mag gio francese”, la rivolta studentesca che rivendicava “il potere all’immaginazione” e che vietava di vietare. Personaggi come Da niel CohnBendit e Rudi Dutchke a gui darla. E una valanga fra intellettuali, registi, poeti, scrittori e politici. In Italia la ventata arrivò in leggero ritardo, l’anno seguente, e si fuse con il famoso “autunno caldo” mettendo insieme studenti e operai in durissime manifestazioni a carattere sindacale. Ma an che il mondo del vino vide con il 1968 una serie di eventi d’importanza notevole. Intan to arrivarono sul mercato le grandi Riserve del ’64, il Brunello di Biondi Santi, che sancì l’inizio della leggenda per quel vino, fino ad allora fenomeno molto poco noto. Poi i grandi Barolo di Prunotto, di Cordero di Montezemolo, di Giacomo Conterno, di Cogno Marcarini, che allora erano insieme. Quella vendemmia era stata abbondante e ottima e per la prima volta molti produtto riimbottigliarono in quantità maggiori che in passato, determinando una diffusione di vini di alta qualità che non si era mai vista in precedenza per dei prodotti italiani. Poi ci fu la vendemmia del 1968: non grandissima ma in certi casi sorprendente per capa cità di durata nel tempo. Molti vini furono agili e longevi come in poche altre occasioni. Proprio il Brunello Riserva di Biondi Santi, allora ancora nelle mani di Tancredi Biondi Santi, fu in una delle versioni più felici e ancora oggi è non solo perfettamente bevibile, ma in splendide condizioni, soprattutto se la bottiglia è stata ricolmata e sostituita nel tappo nel 2000, quando furono “richiamate” in cantina per quell’operazione.

Ma l’evento più importante, quello che avrebbe avuto un’influenza decisiva nel prosieguo dell’attività vitivinicola italiana, fu la nascita di quelli che in seguito si sa rebbero chiamati Supertuscans. E furono due in particolare. Uno nel Chianti Classico, il Vigorello di San Felice, un Rosso da San giovese in purezza che all’epoca non pote va chiamarsi Chianti Classico. Fortemente voluto da Enzo Morganti, allora direttore dell’azienda, e da Giulio Gambelli, che ne era il consulente enologico. L’altro, che poi divenne famoso nel mondo, fu nientemeno che il Sassicaia di Mario Incisa della Roc chetta, e poi di suo figlio Niccolò, e ora di sua nipote Priscilla. Un vino di Bolgheri, che allora era nota per i “cipressi in duplice filar” del Carducci e per avere avuto Ribot negli allevamenti degli Incisa, ma non certo per il vino. Mario Incisa venne convinto a rendere pubblico, disponibile sul mercato, un vino che fino ad allora aveva fatto per e per qualche amico. Lo convinse suo cugino Nicolò Antinori che gli mise a disposizione il suo enologo, un giovanissimo Giacomo Tachis. E avvenne quel piccolo miracolo che ormai molti conoscono e che vi abbiamo raccontato mesi fa pubblicando proprio qui su L’Assaggiatore la verticale storica del Sas sicaia. Il resto, se non è leggenda, è lettera tura enoica. Ma c’è anche un altro vino del quale vale la pena parlare e che fu, nella sua versione del 1968, un’altra pietra miliare. È il Taurasi Riserva dei Mastroberardino, il primo grandissimo Rosso del Sud della tra dizione italiana. Un vino straordinario, an cora di un’integrità totale, che ha dimostrato fin da allora cosa era possibile ottenere in Ir pinia e con il vitigno. E chi ha avuto la pos sibilità di assaggiarlo sa bene di cosa parlo.


Società e vino

«Ma io portai un po’ di vino, io che di donne non ne ho», così cantava Pilade (Lorenzo Pilat del Clan Celentano) nel ritornello del motivo Un po’ di vino del 1968 in cui si favoleggiavano effimeri e poco credibili incontri amorosi. Sempre il vino, in una dimensione scenografica e quasi da artificio retoricolin guistico, ritorna poi nel valzer, sempre del 1968, di Sergio Endrigo Il primo bicchiere di vino che, qualche strofa più in là, si trasforma nel «primo peccato d’amore comprato in vita mia».

Ma cosa rappresentava il vino per gli italia nidel1968?Un alimento, una distrazione a basso prezzo, una“licenziosa” benché lecita concessione di una società i cui valori si stavano sgretolando sotto gli slogan e i passi delle manifestazioni di piazza. Talvolta, però, era anche qualcosa di unico e di raro, capace, timidamente e annata dopo annata, di venire fuori da territori enoici che si stavano affrancando da una dimensione di anonimato voluta da imbottigliatori con pochi scrupoli e industriali alla ricerca di facili profitti. Nel 1968, paradosso prodigioso, il vino era dappertutto, eppure “in giro” non se ne ve deva. Non stiamo ovviamente parlando di osterie, ristoranti o dei vini e oli (le enoteche eranorare) dove il nettare di Bacco era presente oltremisura, ma della comunicazionee dei media. Nei film di quell’anno il vino appariva come bevanda della società rurale più povera e marginale, così come evidente nel lungometraggio Serafino, sempre con Adriano Celentano nei panni di un pastore favorito da una inaspettata eredità che, tuttavia, dilapiderà in men che non si dica. In altre pellicole rivestiva un ruolo addi rittura marginale rispetto ai superalcolici, come, ad esempio, nella commedia Il medi co della mutua, interpretata da un immenso Alberto Sordi, in cui, tranne qualche flûte di “presunto” Champagne, per il resto si osserva l’alta borghesia consumare soprattutto superalcolici di provenienza estera.

Ancor più marginale, infine, se non inesi stente, all’interno del cinema neorealista e generalista.

Allo stesso tempo nelle librerie usciva il Catalogo Bolaffi dei vini del mondo 1968, a cura di Luigi Veronelli, la prima guida in cui il vino “trascendeva” a dimensione iconica, affran candosi da quella, quotidiana, di alimento. Già, perché, essenzialmente, alimento era. Se ne consumavano oltre 110 litri procapite (oggi siamo intorno a 35), lo stipendio me dio (operaio specializzato e impiegato) era tra le 85 e le 90.000 lire al mese e un litro di vino, in osteria, costava intorno alle 200 lire; il pane 180 al chilo, un biglietto del tram e un quotidiano 60 lire. A livello commerciale quindi, il vino era un bene povero, costava meno della pasta e del riso. Eppure qualcosa si muoveva, non solo nella produzione di etichette uniche, come le già accennate Sassicaia, i Barolo di pregio o il Taurasi di Mastroberardino, ma anche nel cambiamento delle prospettive dimensionali e produttive delle piccole e medie realtà dei vignaioli, all’in terno di una presa di coscienza nuova, fatta di trasformazione dei modelli di vita e di riorganizzazione collettivista dell’agricoltura. Nell’aria di quel 1968, non solo nelle fabbriche o nelle università, c’era voglia di riscatto. Il boom economico dei primi anni Sessanta aveva prodotto effetti distruttivi nelle campagne, esempio ne è, proprio in Piemonte, l’alluvione del 1968nelBiellese,conoltre70vittime e, come scrive il professor Alfonso Pascale, presidente della Rete Fattorie Sociali, capace di trascinare «con violenza fino a Vercelli le spole dei lanifici Valmossesi incautamente edificati sugli argini di un corsod’acqua». Nelle campagne e nelle vigne si avverte un forte bisogno di progresso, tecnico ed eco nomico, in autonomia rispetto ai detentori delle proprietà dei fondi o di quegli strumen ti di trasformazione (mulini, cantine, frantoi ecc.) atti a valorizzare le produzioni locali. Il 5 luglio, l’Alleanza Nazionale dei Conta dini porta in piazza, a Roma, sessantamila persone che rivendicano un «riequilibrio dei rapporti economici tra l’agricoltura e l’industria», la «parità delle prestazioni previden ziali e sanitarie» e un «miglioramento delle condizioni civili nelle campagne». Alla manifestazione partecipano gli studenti di Valle Giulia, che invitano i contadini alla socializzazione e alla collettivizzazione della terra, in linea con le ideologie della Scuola di Francoforte, vicina in alcuni dei suoi esponenti alle lotte del già citato Rudi Dutchke, che auspicava (Theodor Adorno) un interventi smo politico e ideologico nelle comunità contadine, intrinsecamente riottose all’emanci pazione. Il mondo agricolo e vitivinicolo del tempo, tuttavia, chiedeva solo autonomia e libertà, non di cambiare padrone. I vignaioli vissero il loro 1968 con le cinque giornate di Asti, quando inscenarono una protesta senza precedenti, proprio nella città sede dell’allora Ordine Nazionale Assaggiatori Vino (oggi la nostra Associazione) che Pascale nel suo libro Il ‘68 delle campagne (RCE Edizioni,Napoli,2004) così racconta: «dopo l’ennesima disastrosa grandinata che quasi ogni anno colpiva i vigneti del Monferrato e delle Langhe,nell’estatedel1968,siavvertì con maggiore acutezza l’esigenza di battersi per ottenere un fondo di solidarietà per fronteggiare la falcidie dei redditi dei viticoltori. Memorabile è rimasta la forte e coesa mobilitazione che si sviluppòsulle strade di Asti, dentro e fuori lacittà,incinque“giornatedi lotta” con l’impiego di migliaia di trattori. La prima si svolse il 18 agosto. Vi partecipa rono diecimila coltivatori e sfilarono, anche, duemila trattori senza tener conto del divie to prefettizio [...] Diversi furono i tentativi di ostacolare il movimento dei trattori. Si ebbe anche il caso di un provocatore che ferì con un’arma da fuoco un contadino. Venne individuato dagli stessi organizzatori e consegnato alle forze dell’ordine [...] Quella fu, anche, la prima volta che una manifestazio ne di agricoltori veniva organizzata unita riamente dalla Coldiretti e dall’Alleanza dei contadini. Vi aderirono la Dc, il Pci e tanti sindaci. Si percepiva che qualcosa di profondo dei vecchi assetti politici e sociali edificati negli anni della “guerra fredda” si sgretolava. Nei protagonisti è rimasta forte la sensazione di aver vissuto una vicenda epocale. Ma già in occasione della seconda “giornata di lotta”, la Coldiretti, sebbene avesse contribuito a proclamarla in una affollatissima assemblea unitaria, decise all’ultimo momento di non partecipare [...] Poliziotti e carabinieri affluirono dalle regioni vicine e furono utilizzati per intimidire i partecipanti, bloccare la circolazione dei trattori e far fallire la manifestazione. Ma l’iniziativa di lotta si svolse regolarmente il 18 settembre e, a seguito di una lunga trattativa col que store, i trattori poterono sfondare il blocco per un chilometro e vivacizzare la protesta. La terza “giornata” fu annunciata per il 30 ottobre successivo. Questa volta fu indetta dalla Coldiretti, che però rifiutava qualsiasi impegno con altri, e dette vita a un proprio comitato di agitazione. Ma il coordinamento unitario, che si era precedentemente costituito, non si dette per vinto e fece converge re i propri aderenti lo stesso giorno e nella medesima località indicati dalla Coldiretti. Ne venne fuori, sotto una pioggia scrosciante, un lungo corteo, che però era diviso a metà,con duetronconi distanziati di un metro, uno promosso dalla Coldiretti e l’altro dal coordinamento unitario. Alla fine si fecero due comizi separati, ma i coltivatori li ascoltarono entrambi. Saranno necessarie altre due manifestazioni, l’11 maggio e l’8 giugno dell’anno successivo, per convincere il governo ad accogliere le richieste dei manifestanti. E solo dopo forti pressioni, esso si deciderà a presentare il disegno di legge per l’istituzione del Fondo di solidarietà nazionale, che dopo circa un anno, nel 1970, vedrà finalmente la luce».

Il territorio nel vino

Il 17 novembre del 1968 sul settimanale Grazia appare un articolo dal titolo In Sicilia alla scoperta dei vini genuini, a firma di Mario Soldati. Il pezzo sarà il primo di una serie di sei servizi interamente dedicati al vino italiano, realizzati in collaborazione con l’Istituto Enologico Italiano. In occhiello al primo articolo troviamo il commento: «il famoso scrittore ha girato l’Italia per portare sulle tavole delle nostre lettrici il meglio della produzione enologica: ecco la prima puntata di questa singolare “avventura”». Andar per vigne e cantine, quindi, nel 1968 è una singolare e, aggiungiamo noi, straordinaria (nel senso letterale del termine) avventura. L’operazione del settimanale e dell’Istituto recava, inoltre, fini commerciali, giacché alla fine di ogni servizio il lettore aveva la possibilità di acquistare un cartone di vino contenente una selezione di etichette della zona, scelte da Soldati e da Ignazio Bocco li, “uomo” dell’Istituto Enologico Italiano al fianco dello scrittore nell’organizzazione delle trasferte enoiche. L’operazione “giornalistico commerciale” fu un grande successo, tale da spingere lo stesso Soldati a raccogliere le esperienze dei viaggi nel libro Vino al vino, viaggio alla ricerca dei vini genui ni, pubblicato da Mondadori nel settembre del 1969. A questo primo volume ne seguiranno altri due, con il racconto dei viaggi del 1970 e del 1975: una prima edizione, completa,deitretourintitolataVinoalvino. Alla ricerca dei vini genuini. I tre viaggi in edizione integrale, con 140 fotografie a colori venne poi pubblicata nel 1977 nella serie dei Libri Illustrati Mondadori. Nell’introduzione del volume del 1969, intitolata Dedica, si legge, in sintesi, tutto quello che il vino poteva rappresentare nel 1968: «interminabili sono oggi i ragionamenti che si possono fare, e che si fanno, oggi, a proposito del vino in tutti i paesi dove il vino è di casa. Ecco al cuni temi principali di tali ragionamenti: la decadenza del vino per colpa della civiltà dei consumi; la sensazione che il vino si opponga costituzionalmente, e che sempre più debba opporsi, al consumismo, all’industrializzazione, alla pianificazione ecc.; la moda secondo cui sarebbe necessario difendere il vino vero: ancora una contestazione, insomma, da aggiungere a tutte le altre». I temi toccati dallo scrittore sono attuali: orientamenti, approdi e derive del mondo del vino degli anni Novanta e Duemila già previsti, ma quello che colpisce di più, nel la contestualizzazione con il periodo in cui queste parole sono state scritte, è la coscien za del vino come elemento di contestazione e la netta presa di posizione sull’importanza del legame tra vino e territorio, elemento fondante dei suoi avventurosi e straordinari viaggi. Nelle righe successive la critica si fa precisa e ancor più attuale: «gli amatori del vino inesperti accusano i tecnici, gli enologi, di non partecipare, o di non partecipare ab bastanza a quest’opera di difesa, e di contri buire alla decadenza del vino […] prestandosi attivamente alle pratiche di filtraggio, chiarificazione, refrigerazione, stabilizza zione, e a tutti i vari accorgimenti chimici e meccanici che in definitiva mirano a indu strializzare il vino con crescente ed evidente profitto economico, almeno iniziale, per i produttori a cui essi enologi sono associati o dipendono. Dirò subito che mi considero anch’io, del vino, un amatore inesperto».

La critica al “sistema vino” della fine degli anni Sessanta, evidenziata anche dall’assen za di questo quale elemento scenografico di valore negli esempi cinematografici prima citati, non risparmia i consumatori quando scrive che «gli italiani hanno dimenticato tutto ciò che, sul vino, conoscevano perfet tamente. Oggi non sanno più riconoscere quando è buono e quando non lo è. Trangu giano con paurosa disinvoltura e talvolta con tragico entusiasmo il contenuto di bottiglie che i nostri nonni non avrebbero esitato un istante a vuotare nel lavandino».Quella di Soldati, oltre a essere un’istantanea del tem po, è una schietta critica sociale al rappor to tra fattori della produzione e mercati di sbocco del vino, rivendicazione di un episte me in grado di unire la terra alla tavola, all’insegna dell’origine e del piacere, dove gusto e ragione non sono mai elementi contrapposti. Sempre in merito alla riscoperta della valenza territoriale del vino, non possiamo poi dimenticare, l’importanza del 1968 quale data di entrata in vigore di tante Denomi nazioni di Origine Controllata, tra cui ri cordiamo, citandone alcune, Montepulciano d’Abruzzo, Torgiano, Soave, Rosso Pice no, Verdicchio dei Castelli di Jesi, Amaro ne della Valpolicella, Bardolino ed Etna. Un fondamentale anno del vino, quindi, verrebbe da pensare, con la valorizzazione dell’origine nella comunicazione e nella legislazione, oltre a una prima attenzione alle esigenze di sostenibilità delle produzioni.

La contestazione
Pur considerando la funzione di critica al sistema (sebbene tutto interno alla settore primario) che il vino sembrerebbe aver già rappresentato in quegli anni (riflessioni del Soldati, l’opera di Luigi Veronelli e le ri vendicazioni dei vignaioli astigiani), il movimento studentesco vedeva in alcuni vini, Champagne in primis, isimboli dell’alta borghesia e dell’aristocrazia classista e reazionaria; d’altronde conservatori, se non nostalgici, si vantavano di essere molti prestigiosi produttoridivinocherivendicavanovereo presunte schiatte nobiliari. Esisteva quindi, escludente; dal basso valore sociale, per i canoni della protesta, cui spesso corrispondeva, però, in termini puramente edonistici, un alto valore materiale e qualitativo. Questi vini erano, talvolta, legati alla mondanità dei locali e dei ristoranti esclusivi, luoghi di quell’imprenditoria che, per l’epoca, divorava vita e sogni degli operai, in un’idea di totalità oppressiva legata, come sottolineano Nanni Balestrini e Primo Moroni nel volume L’orda d’oro 1968 1977 (SugarCo Edizioni, Milano, 1988), alla «sussunzione capitalistica del tempo e della omologazione imperialistica del mondo».

Le prime avvisaglie si ebbero il 7 dicembre 1968, quando a fare le spese della contesta zione furono le pellicce e gli smoking degli invitati alla Prima della Scala, imbrattati di vernice e uova, di cui, orgogliosamente, Mario Capanna, leader studentesco nel ’68 e poi politico italiano di lungo corso, rivendica, nel libro Formidabili quegli anni (Rizzoli, 1988, Milano) non essere mai state marce. Ma il fatto più cruento e maggiormente le gato, sebbene indirettamente, al mondo gastronomico si svolse il 31 dicembre, quando migliaia di manifestanti di Potere Operaiodi Pisa e del movimento studentesco inizia ronoalanciarefruttaeverduraneiconfron ti degli avventori al veglione di capodanno del famoso locale La Bussola di Focette, in Versilia, per contestare il lusso (l’ingresso al cenone, con relativa esibizione di Fred Bon gusto e Shirley Bassey, costava 36.000 lire) ostentato dalla “classe dirigente” del Paese. La reazione della polizia fu molto dura, vo laronoproiettilidurantegliscontri,chepro seguirono per tutta la notte; una pallottola raggiunse l’allora sedicenne Soriano Ceccanti ferendolo gravemente e costringen dolopertuttoilrestodellavitasullasedia a rotelle. Nonostante l’handicap Ceccanti diventerà campione di scherma, partecipando alle paraolimpiadi di Seoul, Barcellona, Atlanta, Sidney e collezionando una medaglia d’oro, quattro d’argento e cinque di bronzo. Da quell’anno, in un crescendo quasi inar restabile, vino e gastronomia entrarono sempre più all’interno del tessuto sociale dell’Italia, profondamente rinnovata dalle idee, dai sogni e dagli scontri di un anno che non si esaurì nell’arco di dodici mesi, ma andò avanti per anni, vergando pagine più o meno trasparenti della storia d’Italia. Da allora il settore vitivinicolo non fu più lo stesso, sebbene dovette, in seguito, con lo scandalo del metanolo del 1986, affrontare una delle peggiori crisi di sistema. Ironia della sorte, proprio nell’‘86 un insertodi otto pagine dal nome Gambero Rosso (in onore all’osteria dove Pinocchio mangia con il Gatto e la Volpe) comparve all’interno del quotidiano comunista Il Manifesto e nel primo editoriale firmato da Stefano Bonilli si leggeva: «facciamo la guerra. Guerra dichia rata da un piccolo gruppo di persone, molto determinate e molto coscienti, ai commer cianti, ai produttori, ai ristoratori. Non tutti, naturalmente, certo quelli che costantemen te, quotidianamente, cercano di fregare il consumatore. […] È guerra con i produtto ri, anche in questo caso non tutti, ma quelli che usano prodotti che a lungo andare re cheranno danno al consumatore. Un esempio per tutti, l’uso massiccio dei pesticidi in agricoltura che inaridisce la terra e lascia re sidui nei prodotti della catena alimentare». Il Sessantotto del vino aveva partorito an che questo. Il resto è storia: del vino, del cibo e del gusto in una Italia che, per dirla con le parole di Mario Soldati «è un paese anarchico, scontroso e ribelle».