IL METODO ANCESTRALE NEGLI SPUMANTI. INTERVISTA A STEFANO GRILLI

Intervista al titolare de La Palazzola, in provin cia di Terni, noto per utilizzare esclusivamente il metodo tradizionale classico ancestrale nella spumantizzazione di uve autoctone

Nell’ambito della narrazione spumantistica, italiana e non, e delle sue peculiarità, appare doveroso ripercorrere e approfondire il metodo ancestrale, che rimane un metodo di spumantizzazione, benché terzo in ordine di elenco nella manualistica, nato ancora prima del Metodo Classico e del Metodo Martinotti. Stefano Grilli, titolare dell’azienda agricola La Palazzola, nel Comune di Stroncone in provincia di Terni, è un produttore di vino che adopera varietà autoctone e internazionali, dedicando un focus particolare della linea di produzione alla spumantistica, utilizzando esclusivamente il metodo tradizionale classico ancestrale. Quello che viene definito più comunemente come metodo ancestrale è, invero, ancora in uso in Francia nelle aree vitivinicole dipartimento dell’Aude a ovest della regione viticola Languedoc-Roussillon, dove si produce la Blanquette de Limoux Méthode Ancestrale dal 1531. In Italia, invece, ne abbiamo traccia dai primi del ‘900 in Valle d’Aosta, Veneto, Marche ed Emilia Romagna. La tecnica di produzione consiste nel diretto imbottigliamento del mosto parzialmente fermentato e opportunamente raffreddato con presenza di zuccheri residui. Da qui in poi la rifermentazione in bottiglia, che avviene in primavera o all’inizio dell’estate, porta alla conversione in alcol degli zuccheri residui, oltre alla produzione di anidride carbonica. Lo spumante si genera così all’esito della fermentazione, lasciando residui di lieviti che non vengono eliminati, cui segue una breve maturazione in bottiglia, quindi habillage e commercializzazione.

Come mai la scelta di dare una nomenclatura così estesa alla metodologia di produzione, anziché quella più in uso di “metodo ancestrale”?

«Innanzitutto una premessa. In Francia l’utilizzo del cosiddetto metodo ancestrale è completamente diverso rispetto alla ragione per cui io lo vado a riprendere. Mi spiego meglio. In Francia, il problema fondamentale che esisteva nella Champagne era la capacità di produrre bottiglie che non scoppiassero. Fino al brevetto del 1908 – è nel 1920 che si commercializzano più o meno, le bottiglie sono prodotte, soffiate, in vetreria – la capacità di tenuta o resistenza alla pressione era di 1,6-1,7 atmosfere. Oggi, una bottiglia ha 13 atmosfere di tenuta e 18 a colpo d’ariete. In Champagne, all’epoca, il rischio di esplosione delle bottiglie era elevato, per questo veniva considerato il vino del diavolo, perché scoppiava improvvisamen te, causando persino la morte di persone a seguito della caduta delle cataste. Gli studi sullo zuccheraggio dell’800, per metteranno di controllare meglio la pressione e riuscire a lavorare il prodotto in sicurezza. In Italia, il problema principale del Metodo Ancestrale è che l’equilibrio degli acidi si ottiene quando la gradazione alcolica arriva a 12-12,5% mentre in Champagne a 9,5-10%. Cosa significa? Che se io aggiungo 24 grammi di zucchero, i quali produrranno 6 atmosfere utili per avere, dopo la sboccatura, le 5 atmosfere richieste dal mercato, ho anche una produzione in alcol. Se parto da 12,5% alc. rischio di arrivare a 14,5% e non finire completamente la fermentazione. Di conseguenza, il limite alla produzione di spumante in Italia è avere vini che siano a bassa gradazione e in equilibrio acido».

Il nostro sole, quindi, non aiuta.

«Proprio così. Perché, di conseguenza, io faccio riferimento alla metodologia ancestrale? Per il semplice motivo che se io faccio la presa di spuma, il tiraggio, con dei lieviti che aggiungo, ma con gli zuccheri che ho già nel vino, ecco che la gradazione finale sarà quella di partenza, ossia 12-12,5% in volume. Con la tecnologia del freddo, posso interrompere a 24 grammi, o quanto desidero, il serbatoio in fermentazione e, successivamente, riaumento la temperatura per far ripartire la fermentazione».

Funziona anche per la stabilizzazione delle componenti acide?

«Certo, perché io vado a cercare, a questo punto, non più la bassa gradazione di zuccheri con una raccolta anticipata, bensì la maturazione acida come si fa nella Champagne. Infatti, storicamente, in Champagne non si preoccupano della gradazione alcolica, sebbene ultimamente per cambiamenti climatici sia stata autorizzata occasionalmente la produzione di spumante con 13% alcol/volume, che è il limite per lo Champagne. In Italia, con il clima caldo, il problema è la maturazione. In Franciacorta, ad esempio, talvolta si vendemmia anche a fine luglio, incorrendo nel rischio di avere uve instabili a livello di maturazione. In questo caso, l’acidità sarà molto alta ma instabile, con un rischio conseguente di precipitazioni tale da rendere il vino di verso da quello che doveva essere: ad esempio un vino base che ha un’acidità del 13‰ e, dopo la rifermentazione, segna un 4‰».

L’acidità, invece, invece dovrebbe rimanere costante?

«Almeno. L’acidità cala sempre a meno che non sia acidità di trasformazione di alcol in acetaldeide, però gli acidi naturali tendono a diminuire nel tempo. Talvolta può capitare, come a me 30 anni fa, che se l’uva non è stabile o non si interviene con chiarifiche e precipitazioni prima del tiraggio, si creino delle “lische di tartarati” che si solidificano e si posano sul fondo delle bottiglie al punto che, in Franciacorta, è stata creata una macchina capace di frammentare le lische all’interno delle bottiglie: è evidente quindi che non si tratta del problema di qualche sporadico produttore…»

Cosa comporterebbe la permanenza di questa “lisca” nella bottiglia?

«Se c’è una lisca nella bottiglia del vino, essa diventa punto di nucleazione e così, al momento di stappare, verrà fuori tutto il liquido. La bottiglia piena di vino spumante deve essere priva di punti di nucleazione e la lisca, che si posiziona sul fondo della bottiglia quando è in orizzontale, una volta frammentata può essere, tramite remuage, posizionata vicino alla bidule. Il ghiaccio blocca tutto e se la porta via. Le lische possono essere lunghe anche 6-7 centimetri. A quel punto, la precipitazione è talmente elevata che bisogna intervenire con altro acido, consentito dalla legge, tartarico o citrico, quest’ultimo più utilizzato perché evita che ci siano precipitazioni successive: ed ecco il classico sentore di agrumato. Lavorando e tenendo fermi i 24 grammi, significa che se raccolgo un prodotto a 180 grammi (il 18% di zucchero) che mi dà una buona maturità, ne ho comunque una riserva per poter prendere la spuma senza dover badare a quanto ne ho, controllando sempre il giusto livello di acidità. Naturalmente bastano strumenti di laboratorio semplicissimi, come la misurazione tramite il metodo Fehling per la quantità di zucchero presente nel vino calcolata al grammo».

Tornando alla sua storia, quando si è approcciato per la prima volta al metodo ancestrale?

«Nel 2003 ho chiesto l’autorizzazione al Ministero dell’Agricoltura ma la risposta fu negativa. Lo si poteva fare durante il periodo vendemmiale, ma al di fuori fare spumante senza aumento di grado era vietato. L’anno successivo, tramite interpello, evidenziai che il metodo classico prodotto ad Asti è fatto senza aumento di grado e da lì, per analogia, fu autorizzata questo tipo di operazione».

Quindi da cosa deriva la scelta di chiamarlo “metodo tradizionale classico ancestrale”?

«Perché è un “metodo tradizionale classico”, che vuol dire un vino che è stato per più di 9 mesi a contatto con i lieviti all’interno di una bottiglia ove svolge la fermentazione. “Ancestrale” vuol dire che gli zuccheri responsabili di questa seconda fermentazione in bottiglia appartengono all’uva stessa (endogeni) e non sono stati aggiunti. In Italia si usa la definizione “ancestrale” perché è stata utilizzata soprattutto da alcuni produttori di Lambrusco che hanno deciso di chiamare, legittimamente, il “Lambrusco metodo ancestrale” perché rifermentato con gli zuccheri naturali. È una vecchia tecnica in cui l’ultima parte della fermentazione viene fatta fare in bottiglia per conferire frizzantezza al Lambrusco».

Si potrebbe creare quindi confusione tra fare un vino frizzante e un vino spumante con metodo ancestrale? Qual è in tal senso la linea di confine?

«La linea di confine è la pressione, che deve è essere maggiore di 3 atmosfere negli spumanti, e maggiore di 3,5 atmosfere negli spumanti di qualità, mentre nei frizzanti può essere inferiore».

Da una disamina dei metodi di spumantizzazione, ritiene che il metodo ancestrale non incida, in quanto non adoperante la liqueur d’expédition, sugli aromi varietali dell’uva utilizzata e quindi sulla tipicità del vino e il legame con la tradizione umana e territoriale?

«Questo è vero per quei vini che vengono fatti fermentare a bassa pressione. Se io ho un Lambrusco fatto con piccola rifermentazione in bottiglia, questo avrà maggiore dolcezza e freschezza, ma la metodologia ancestrale in sé prevede anche che il vino possa arrivare a essere un metodo tradizionale classico, quindi che abbia una forte presenza di lieviti all’interno e non sia semplicemente una presa di spuma da poca pressione. Mi spiego meglio: se produco una atmosfera di pressione, ho pochi grammi di residui. Se ne produco 6, ho un numero maggiore di residui, tali che il vino non sia semplicemente fosco, ma ricco di sostanze, non velato ma torbido, in ragione dei sedimenti che, nel Metodo Classico, vanno a finire nella bidule e poi eliminati. Un altro punto importante è lasciare la carbonica ordinata, ovvero fare in modo che non vi siano punti di nucleazione eterogenea, punti in cui ci sono dei sedimenti che trattengono ossigeno, altrimenti in quel punto si andrebbe a creare la nucleazione che si porta via tutto: le singole unità di carbonica si liberano ed escono tutte fuori di botto. Tornando al punto di partenza, bisognerebbe capire se parliamo della stessa cosa, ovvero se per ancestrale ri teniamo quei vini che, in Francia, si chiamano Pèt-Nat, ossia gli spumanti rifermentati a bassa pressione che noi, in Italia, chiamiamo vini frizzanti; oppure se parliamo di veri e propri spumanti ancestrali, con pressione superiore alle 3 atmosfere. Del resto, il metodo ancestrale originario si utilizzava per produrre vino frizzante quando non esistevano gli spumanti. Bisogna evidenziare, poi, che anche gli spumanti francesi prodotti successivamente con metodo ancestrale, come i vini di Gaillac o la Blanquette de Limoux, prevedono sempre il dégorgement. “Ancestrale” è quella metodologia che veniva utilizzata prima del dégorgement, giacché le prime sboccature si iniziano a fare a metà dell’800. Nel 1860 Louis Pasteur descrive e caratterizza l’esistenza dei lieviti. La natura antimicrobica e antifermentativa della carbonica è una cosa che si scopre casualmente nel ‘500-‘600: i vini a pressione carbonica non degeneravano, ma nessuno sapeva il perché e nessuno avrebbe aggiunto zucchero, perché all’epoca costava troppo. Nel momento in cui il costo dello zucchero divenne accessibile, lo si è impiegato per la presa di spuma e, casualmente, si è scoperto che, aggiungendolo al vino rifermentato, non rifermentava. La tecnica moderna del dégorgement si affina solo in tempi successivi. A tal proposito, quando le persone parlano di “sciabolare le bottiglie”, tale pratica aveva un senso quando la bottiglia era tappata, all’inizio dell’800, con della iuta, del legno a pressione, una colata di pece e, a tenerla, uno spago imbevuto di topicida per evitare che i topi andassero a rosicchiare, per cui la sciabolata era il sistema migliore di apertura».

Si parla, con riferimento al Metodo Champenoise, di longevità dello spumante derivante da questo metodo di vinificazione. È un beneficio che riguarda anche gli spumanti prodotti con metodo ancestrale?

«Quando noi mettiamo un pane lievitato in forno, il lievito è ancora vivo, un secondo dopo è arrostito, si spacca e determina quell’odore di forno, di crosta di pane, di pasticceria. Il lievito, che da 400 milioni di anni vive nel nostro mondo e si “pappa” il dolce, ha delle grandi capacità di resistenza. Quindi l’autolisi non è immediata, impiega tempo, è lenta e determina anche la formazione di alcune sostanze del Saccharomyces stesso che poi vanno a diffondersi e, ossidandosi, a diluirsi nel vino».

Una compartecipazione alternata?

«Esatto. Maggiore è la durata, maggiore è la capacità di integrarsi tra i sedimenti, capaci di fornire profumi particolari al vino. Ovviamente il rapporto, che si usino metodologie ancestrali o si aggiungano zuccheri e lieviti, è di poca rilevanza in termini della quantità di quello che poi rimane, mentre è impor tante come il vino base (vin clair) sia trattato in precedenza. Se io lavoro con un vin clair “tal quale”, mi troverò ad avere una maggiore sedimentazione, ma anche una maggiore ricchezza. Se lavoro su un vin clair filtrato e pulito ovviamente posso lavorare solo su alcune sostanze. La qualità del vino base è fondamentale, poi le differenze possono esserci, ma marginali e più ricondotte alle varie tipologie di fermentazione».

Quali attenzioni bisogna adottare in cantina durante il processo di vinificazione?

«Fino a che la fermentazione si svolge ordinariamente, si seguono le stesse attenzioni di un normale vino. Quando poi comincia ad avvicinarsi la fine della fermentazione, bisogna essere molto attenti a intervenire tempestivamente, freddando in maniera da conservare gli zuccheri che serviranno per la successiva fermentazione, facendo atten zione che la temperatura sia costante: mai troppo fredda, intorno allo zero o giù di lì, e mai troppo calda, intorno ai 10 °C, perché potrebbero esserci delle riprese di spuma o una tripla fermentazione che può far perde re un po’ di qualità. A ogni modo, il problema è sempre la partenza. Le tecnologie sono molte e valide, ma il principio fondamentale è avere una buona partenza. Al contrario dell’oliva, la vite in funzione della produzione perde capacità di concentrazione. Ma è lì che avviene la prima selezione, importante anche perché molto spesso bisogna mediare fra il valore economico e la sua qualità».

In linea generale, si parla di avvio della rifermentazione in primavera. Il cambiamento climatico potrà incidere su queste tempistiche?

«La spumantizzazione prevede la necessità, come a Reims, di cunicoli sotterranei. Quando fa molto freddo è difficile fare la rifermentazione in bottiglia, però esistono magazzini o cave dove può essere riposta la bottiglia in fermentazione appena partita la presa di spuma. A quel punto è opportuno che le bottiglie vengano portate in luoghi con temperatura stabile tra 10 e 12 °C: la temperatura migliore per la fermentazione. Noi abbiamo, per esempio, un interrato a 5 metri di profondità dove la differenza fra estate e inverno è di circa 3-4 gradi, perfettamente utilizzabile per la spumantizzazione continua».

Come ci si comporta, infine, con i blend?

«Se utilizzi la metodologia ancestrale, a meno di non voler tenere tutta l’estate e fino a quella successiva il vino a bassa temperatura, cosa che comporterebbe inevitabilmente una precipitazione tartarica importante, devi “tirare” entro l’anno. Al vino base d’annata si può aggiungere fino a un massimo del 15% di altri millesimi, tuttavia, lavorare con la metodologia ancestrale ti obbliga a rimanere sul millesimo e non c’è la possibilità di costruire, come si fa talvolta, uno spumante con tante uve o vini di riserva. Tenendo conto che con ancestrale io intendo un prodotto in cui il vino, prima di essere tirato, viene tenuto a 4 °C in media. Se lo tengo a 4 °C per due anni ho, ovviamente, una precipitazione tartarica fortissima. Questa può avvenire o per un lungo tempo a una temperatura bassa o per un breve tempo a temperatura molto bassa. Si porta il vino vicino alla temperatura di congelazione, che è la metà del grado alcolico – un vino con 12% di alcol congelerebbe a -6 °C, così io lo porto a -4 o -3 °C –, lo lascio un giorno e poi faccio la filtrazione. In questo modo elimino tutti i tartarati polverulenti che sono nel vino. È la “stabilizzazione tartarica” e può essere fatta anche in continuo: ci sono macchine che abbattono la temperatura in maniera importante, rapidamente e su minore quantità. O che si faccia su una massa o che si faccia al passaggio, il principio è questo».