In un momento storico di grande incertezza nel mercato del vino, segnato dalle leggende metropolitane conseguenti al nuovo codice della strada, al via alla produzione, anche in Italia, dei vini dealcolizzati, passando per i dazi di Trump e chi più ne ha più ne metta, chi opera nel settore dei grandi vini mantiene una fede incrollabile nell’assunto che «il lusso non sente mai la crisi». Per questa ragione, qualche tempo fa, prima di salire sul treno (così ho potuto farmi beffe del nuovo codice della strada!) che mi avrebbe portato all’evento La Prima dell’Alta Langa a Torino, mi sono fermato in libreria per acquistare un volume consigliatomi da un conoscente che lavora per la guida Michelin (ma, lo dico subito ai ristoratori che leggono: non fa l’ispettore!). Il libro in questione si intitola Luxury food, le parole chiave per strategie vincenti nell’enogastronomia di lusso e porta la firma di Annalisa Cavaleri (Franco Angeli, 2024). Orbene, posto che già nel titolo vi è un chiaro riferimento, oltre al γαστήρ anche all’oίνός (cibo e vino, per parlar schietto), mi è venuto in mente di verificare, attraverso l’esame delle carte dei vini di alcuni ristoranti premiati con le tre stelle Mi chelin, la presenza delle bottiglie più bat tute nelle aste. Inoltre, ulteriore scopo di questa ricerca, visto anche il memento di cui sotto «Il vino su cui scommettere», è stato verificare se, dall’esame delle stesse, si potessero trarre utili indicazioni su questa categoria di vini. Per prima cosa, si deve evidenziare che, per il 2025, i ristoranti italiani premiati con l’ambizioso punteggio massimo sono solo 14. Di questi, diversi non pubblicano una carta dei vini sul proprio sito ma, comunque, sono stato in grado di accedere a un significativo numero di carte utili al nostro scopo. Ovviamente, i dati vengono riportati in questa sede in forma anonima, posto che le carte dei vini dei singoli ristoranti possono essere oggetto di modifiche periodiche. Detto questo, ho deciso di procedere come segue: 1. Solo vini italiani (come di consueto); 2. Attenzione principale rivolta a Toscana e Piemonte, con un accenno alle altre zone di produzione; 3. Prevalenza di vini rossi, ma con una menzione anche per i vini bianchi e i metodi classici; 4. Individuazione di una categoria di vini outsider o su cui scommettere; 5. Verifica della verticalità delle annate proposte. 6. Confronto tra le etichette in carta e quelle battute in asta. A questo punto si può cominciare. Per prima cosa, segnalo che tre quarti delle carte esaminate contano complessivamente circa 70/90 pagine, mentre solo una supera le 160.

I GRANDI ROSSI

Avanti Savoia: largo ai Piemontesi

BAROLO

Il primo vino da menzionare è il Barolo di Bartolo Mascarello, presente in una buona verticale. Da segnalare che in un ristorante sono evidenziate le bottiglie con le “etichette disegnate” a un costo maggiore rispetto a quelle con l’etichetta tradizionale. La cosa appare curiosa, visto che per un collezionista questo dettaglio ha sicuramente rilevanza, ma per chi il vino intende berlo al ristorante, non dovrebbe averne. Segue, poi, Bruno Giacosa, ma con un assortimento molto più ridotto, così come per Giuseppe Rinaldi. Significativa poi la presenza di bottiglie di G. B. Burlotto che, rispetto ad altri produttori, solo di recente si è affacciato nel mercato dei grandi vini. Presente anche Vietti, la casa vinicola ormai di proprietà di investitori americani, che, ad oggi, costituisce un punto interrogativo, posto che spesso in asta si trovano bottiglie di vecchie annate a prezzi più bassi di quelle in commercio. Sono altresì rappresentati Pira e Roagna, ma in modo non molto significativo. Da segnalare, una bottiglia di Aldo Conterno di Barolo Riserva Granbussia del 1970 a € 6.000. Prunotto, quello che io chiamo il “Barolo toscano” è degnamente rappresentato. Importante anche la presenza di Cappellano con i suoi Piè, Franco e Rupestris. Al top per livello di presenza, ovviamente, il Monfortino di Giacomo Conterno e il fratellino Francia.

BARBARESCO

Per questo vino i numeri sono molto più ridotti. In primis, si segnalano le bottiglie di Gaja seguite da quelle di Bruno Giacosa e di Roagna. In due delle carte, significativa presenza dei vini della cantina Produttori di Barbaresco (caso particolare in quanto trattasi di una cooperativa).

Andiamo dunque a sciacquare i panni in Toscana

BOLGHERI

Inutile segnalare la presenza significativa di Sassicaia, semmai è da evidenziare che non siano presenti significative verticali di questo vino (del tutto assente la “mitica” 1985). Seguono Ornellaia e Guado al Tasso.

MONTALCINO (Brunello)

Biondi Santi è un must. Interessante la presenza di Casanova di Neri con Cerretalto e Tenuta nuova; molto significativa quella di Case Basse di Gianfranco Soldera, sia nel periodo del Brunello, sia nel periodo successivo al “fattaccio” con il suo Sangiovese IGT. Presenti anche Il Marroneto e Poggio di Sotto. In una sola carta il Brunello di Fuligni.

IGT SUPERTUSCAN

In questa categoria si segnalano di Antinori Solaia e Tignanello, Le Pergole torte di Montevertine e, poi, come ovvio, Masseto. Solo in una carta fa capolino il fratellino Massetino.

ALTRE ZONE D’ITALIA

Per quanto riguarda i vini del Veneto, la fanno da padrona gli Amaroni di Quintarelli e Romano dal Forno con qualche presenza anche di Bertani. Segalo in due carte il Valpolicella di Monte dei Ragni. Sempre presente San Leonardo a rappresentare il Trentino e, seppur con meno frequenza, la Valtellina con Arpepe. In una carta, a tenere alto l’onore della Lombardia è il Barbacarlo di Lino Maga. Miani è il principale portacolori del Friuli-Venezia Giulia. In Abruzzo la fa da padrone Valentini seguito, da lontano, da Emidio Pepe. Sicuramente da segnalare tra gli emergenti (puntata di Report a parte) il laziale Montiano di Famiglia Cotarella e, per la Campania, il Taurasi di Pietracupa.

I BIANCHI E I METODO CLASSICO

BIANCHI FERMI

Degna di nota la presenza del Timorasso anche di cantine non presenti nelle aste (in effetti, ad oggi, anche i vini di Walter Massa non sono molto scambiati). Restando in Piemonte, molto ricorrente il Gaja & Rey. Per l’Alto Adige segnalo L’Epokale di Cantina Tramin e per il FVG la Ribolla di Gravner (in una carta presente anche Jermann con il Vintage Tunina). In almeno una carta è presente l’Ornellaia bianco, uno di quei vini che oggi rappresentano un vero punto di domanda nel modo dei fine wines. Qualche Verdicchio (Umani Ronchi) è presente a rappresentare le Marche. L’Umbria è rappresentata (ma solo in alcune carte) dal Cervaro della Sala. Must, per l’Abruzzo, il Trebbiano di Valentini. Per la Campania, il Furore di Marisa Cuomo.

METODO CLASSICO Nella categoria il punto di riferimento è tuttora Ferrari con la Riserva del fondatore e il Bruno Lunelli (la bottiglia con “il fondo a punta”, per intenderci). Si difende bene anche Cà del bosco con la Riserva Annamaria Clementi. Presente anche Bellavista. Qualche menzione per l’Alta Langa di Enrico Serafino con il suo 140 mesi.

VERTICALI

Con un certo stupore ho riscontrato che nella maggior parte delle carte sono presenti essenzialmente solo annate recenti e con verticali non oltre i 5/10 anni. Da segnalare sporadicamente la presenza di vecchie annate (anche un 1967) soprattutto tra gli Amaroni.

NOTE DOLENTI

Segnalo in una carta la presenza di Sassicaia nella mezza bottiglia. Un formato che, a mio avviso, non si dovrebbe nemmeno produrre e che mi ricorda tanto la scena di Fantozzi a Capri con la Silvani. In una delle carte non sono riportati i prezzi delle bottiglie.

CONCLUSIONI

In definitiva, sulla scelta dei vini i ristoranti stellati si allineano al trend di quelli più presenti nelle aste. In ragione del carattere più o meno regionale del singolo ristorante, sono presenti anche vini locali di cantine emergenti. Per gli emergenti, vedere «Il vino su cui scommettere».

Resoconto Aste

Poche le aste bandite nei primi mesi del 2025. Finarte, nell’asta del 30 gennaio, ha battuto sostanzialmente solo vecchie bottiglie, tra cui un Barbaresco di Gaja del 1961 a € 264. Pandolfini ha messo in asta, a Milano, una intera collezione il 19 febbraio. Da segnalare diverse bottiglie di Brunello Riserva di Poggio di Sotto a € 414, un Sassicaia 1985 a € 2.100 (in calo rispetto agli anni passati), un Monfortino del 2010 a € 1.570 e un Barolo Rocche di Castiglione di Vietti del 2016 a € 372.

Il vino su cuI scommettere: Amarone della Valpolicella - Monte dei Ragni