Si narra che nel 410 d.C. il re dei Visigoti Alarico fece tappa a Matelica prima di puntare su Roma per guidare quello che sarebbe passato alla storia come il “Sacco di Roma”. Dalla piccola città marchigiana ripartì con 40 muli carichi di vino da distribuire ai suoi guerrieri per renderli più bellicosi. Oggi, fortunatamente, il vino di Matelica non sembra più sortire lo stesso effetto, ma il piccolo comune del maceratese continua a richiamare enoappassionati da tutte le latitudini.
Passeggiando tra le vie del centro sono ancora evidenti i segni del terremoto del 2016. Molti sono i palazzi tuttora inagibili, anche se il meraviglioso Loggiato degli Ottoni nella centralissima Piazza Mattei è tornato al suo antico splendore.
Crepe meno evidenti ma altrettanto pericolose si sono poi formate nel tessuto sociale della comunità. Basti pensare che in pochi anni la provincia di Macerata ha perso oltre 15 mila abitanti a causa del fenomeno dello spopolamento. Ce lo conferma Fabio Marchionni, proprietario della cantina Collestefano di Castelraimondo, quando racconta che negli ultimi tempi è diventato complicato persino reperire il personale per vendemmiare i suoi 20 ettari di vigne coltivate in biologico.
In questo contesto risulta essere ancora più importante il lavoro delle aziende vitivinicole, per loro natura tra le più radicate sul territorio. Nonostante le difficoltà, qui il settore sembra godere di ottima salute, come dimostra la crescita delle bottiglie prodotte (+ 14% nel 2020) e degli investimenti. «Abbiamo appena terminato la costruzione di una sala di stoccaggio – rivela Marchionni indicando la nuova ala della cantina – ciò ci permetterà di aumentare la produzione e custodire una piccola scorta di tutte le annate prodotte».
Il territorio della DOC Verdicchio di Matelica (Bianco, Spumante e Passito) si estende nell’Alta Vallesina, in sei comuni all’interno della provincia di Macerata e in due comuni dell’anconetano. Si tratta di una denominazione dalla lunga tradizione (DOC dal 1967, DOCG dal 2010 nella versione Riserva con 18 mesi di invecchiamento) e dal presente luminoso, visto che può vantare il maggior numero di premi in rapporto alla superficie vitata. A fronte di poco meno di 300 ettari di vigne per un totale di 1,8 milioni di bottiglie sono, infatti, moltissimi i riconoscimenti assegnati ogni anno sia in Italia che all’estero, dove finisce la metà della produzione.
Tra le etichette più rappresentative del territorio figura sicuramente il Verdicchio di Matelica DOC Collestefano. «È il vino che meglio incarna il nostro stile» spiega Fabio Marchionni che, dopo la laurea in Scienze agrarie con specializzazione in viticoltura, ha passato due anni a viaggiare e lavorare in giro tra cantine ed enoteche, principalmente in Alsazia e Mosella. «In Germania mi sono reso conto del grandissimo potenziale del Verdicchio. Quando sono tornato ho iniziato a gestire l’azienda agricola di famiglia puntando sulla viticoltura. Era il 1998 e molti produttori della zona si lamentavano del fatto che qui il Verdicchio avesse troppa acidità. Noi, invece, abbiamo intuito che questo fosse proprio l’aspetto da valorizzare e ci siamo ispirati allo stile dei grandi Riesling tedeschi, dei quali nessuno si sognerebbe mai di dire che sono troppo acidi».
L’azienda prende il nome dall’omonima collina acquistata nel 1978 dal nonno di Fabio. È qui, a circa 450 m s.l.m., che sorge la cantina, circondata da 12 parcelle impiantate a Verdicchio, con piante che vanno dagli 8 ai 35 anni di età. Le uve vengono vendemmiate intorno alla terza settimana di settembre e ogni appezzamento è vinificato separatamente. Dopo la pressatura soffice, il solo mosto fiore fermenta a bassa temperatura in acciaio per poi maturare 4 mesi sur lie. Prima dell’imbottigliamento avviene l’assemblaggio delle varie masse che darà vita al Collestefano, rimasta per tanti anni l’unica etichetta prodotta: ancora oggi rappresenta il 95% della produzione annuale che si attesta intorno alle 130 mila bottiglie.
Si tratta di un vino teso, luminoso e dal grandissimo potenziale evolutivo, che però arriva sul mercato nella primavera successiva alla vendemmia. «Molti mi chiedono per quale motivo non lo facciamo uscire nella versione Riserva DOCG o comunque con tempi più lunghi di affinamento, – continua il vignaiolo marchigiano, – io rispondo che amo le note agrumate del Collestefano giovane: penso sia buono da subito, poi ognuno è libero di farlo affinare in bottiglia. A me interessa produrre un vino per tutti e uscendo in primavera siamo in grado di proporlo a un prezzo competitivo». In effetti si tratta di un’etichetta dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, come spesso accade ai vini di questo areale.
Ma cos’è che rende unico il Verdicchio di Matelica? La prima cosa che colpisce visitando il territorio di produzione è che al tipico paesaggio agreste marchigiano, caratterizzato da grande biodiversità e morbide colline, si aggiungono i profili delle montagne che, rispetto al paesaggio jesino, sostituiscono il mare all’orizzonte. Mare che in realtà dista solamente 40 km in linea d’aria, ma che non riesce a mitigare il clima dell’Alta Vallesina, l’unica valle di grandi dimensioni della regione ad essere disposta in direzione nord-sud, quindi parallela al mare. È così che il clima qui si fa continentale con importanti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Maggiori anche le precipitazioni, spesso a carattere nevoso.
«In inverno le temperature possono scendere sotto i -10 °C – sottolinea Fabio Marchionni, – è il motivo per cui in questo versante delle Marche la coltura dell’olivo è meno diffusa che nel resto della regione».
Tali condizioni fanno sì che le vigne di Verdicchio poste fra i 300 e i 650 metri di altezza producano meno grappoli rispetto al territorio di Jesi, con acini dalla buccia più spessa per proteggersi dal rischio delle gelate. Quando però arriva l’estate, la forte insolazione che caratterizza il centro Italia fornisce alle poche uve sulla pianta una grande quantità di nutrimento. Per questo il Verdicchio di Matelica ha mediamente un alto contenuto in alcol e un alto valore in estratto secco e sali minerali. Queste componenti si sommano all’elevata acidità, il cui sviluppo è favorito dal clima continentale e dalla natura dei suoli calcarei, un tempo ricoperti da un lago salato. «Le nostre vigne sono impiantate su terreni misti calcareo-argillosi, ricchi di sabbia in superfice e mediamente sciolti – racconta Marchionni mostrando la terra che si sfalda tra le dita – ciò permette alle radici di scendere in profondità alla ricerca dei nutrienti necessari, evitando alle piante di andare in stress idrico durante le lunghe estati che, a causa della crisi climatica, sono sempre più calde e siccitose».
La grande acidità presente nel Verdicchio ha spinto l’azienda a sperimentare con la produzione di spumante Metodo Classico. «Da 10 anni ci dedichiamo alle bollicine – conferma Marchionni e prosegue – fino a poco tempo fa utilizzavamo le uve del Collestefano vendemmiate in anticipo. Oggi, invece, le uve provengono da una vigna posta fuori dalla zona DOC, a ridosso della gola del fiume Potenza e del Monte Castel Santa Maria: qui abbiamo grandissime escursioni termiche e terreni alluvionali ricchi di ciottoli».
Il Collestefano Spumante è un Nature con 30 mesi sui lieviti che si inserisce nel solco della lunga tradizione spumantistica marchigiana. Non dimentichiamo, infatti, che a Fabriano nel lontano 1622 il medico Francesco Scacchi dava alle stampe il suo trattato Del bere sano. Ben prima che il celebre Dom Pierre Pérignon “inventasse” lo Champagne, un intero capitolo veniva dedicato ai vini frizzanti antesignani del Metodo Classico.
Oggi, a 55 anni dalla nascita della DOC, il Verdicchio di Matelica si appresta a compiere un grande passo, modificando il nome della denominazione: a breve, infatti, si chiamerà semplicemente “Matelica”. L’obiettivo è quello di puntare sulla valorizzazione del territorio visto che il Verdicchio è ormai la quindicesima varietà di uva più piantata al mondo. «Io, sinceramente, non sono convinto di questa scelta – confessa Marchionni, tra i pochi produttori contrari, – secondo me il brand Verdicchio ha un grande valore e siamo riusciti a ottenere che si possa continuare a riportare il nome del vitigno in etichetta». Non appena sarà completato l’iter burocratico i produttori potranno quindi scegliere tra la dicitura “Matelica” o “Matelica Verdicchio”. Solo il tempo ci dirà se la modifica potrà giovare a questo piccolo gioiello enologico marchigiano che, pur rappresentando appena il 6,5% della produzione regionale, è certamente tra le denominazioni italiane da tenere sott’occhio nei prossimi anni.