«Il destino è un’invenzione della gente fiacca e rassegnata». È una frase di Ignazio Silone (pseudonimo di Secondino Tranquilli), celebre scrittore e autore di Fontamara, uno dei romanzi più significativi del ‘900. Ma potrebbe tranquillamente essere attribuita a Emidio Pepe, vignaiolo che con Silone condivide le origini abruzzesi. Sì, perché l’incredibile parabola della cantina che ha reso famosi nel mondo il Montepulciano e il Trebbiano ha tanto a che vedere con l’idea di essere padroni del proprio destino. Ed è curioso notare come Silone abbia finito di scrivere il suo capolavoro proprio nel 1932, anno in cui, in provincia di Teramo, nasceva Emidio Pepe. Contadino figlio di contadini, proprio come i protagonisti di Fontamara.
E qui torniamo alla frase sul destino pronunciata da Silone. Rimasto orfano in giovane età a causa del terremoto che nel 1915 distrusse la Marsica e poi perseguitato dal fascismo per le sue idee libertarie, non si rassegnò al proprio destino e attraverso la letteratura riuscì a emanciparsi. Allo stesso modo Emidio Pepe è stato artefice del proprio successo, basato unicamente su un’incrollabile forza di volontà.
Il giovane Emidio, infatti, nel 1964 decide di imbottigliare il vino che la sua famiglia, da sempre, vendeva sfuso. Al che suo padre gli disse che nessuno avrebbe comprato quel vino in bottiglia troppo costoso. Lui, però, era fermamente convinto che quel Montepulciano fosse uno dei vini migliori d’Italia.
«Sinceramente non so come sia nata in lui questa convinzione», racconta divertita la figlia Sofia. È stata lei negli ultimi 25 anni ad affiancare il padre in vigna e in cantina ereditando un bagaglio di conoscenze che nessun corso di enologia potrà mai garantire.
«Era talmente certo della qualità dei nostri vini che alla fine degli anni ’60, senza sapere una parola di inglese e senza nessun contatto, è partito con una valigia piena di bottiglie alla volta degli Stati Uniti». Da allora Emidio Pepe ha girato il mondo, senza però mai dimenticare di essere un contadino.
Forse è proprio questo il suo segreto: ancora oggi, quasi novantenne, è possibile vederlo, con la coppola ben piantata sulla testa, camminare tra le viti con le mani dietro la schiena. Il rischio, raccontando la sua storia, è però quello di cadere nel solito cliché del romantico mondo contadino di una volta. Lo stesso raccontato così efficacemente da Silone e che di romantico non aveva proprio niente. Se ci pensiamo bene, appena 30 anni dopo la pubblicazione di Fontamara, sono stati proprio i contadini a essere sedotti dalle «magnifiche sorti e progressive» del capitalismo, convertendosi all’agricoltura industriale o trasferendosi nelle città attratti dal miraggio del benessere. Miraggio cui Emidio Pepe non ha mai creduto.
«Mentre quasi tutti i viticoltori si convertivano alla moderna enologia, ai vitigni internazionali, all’acciaio e alle barrique, mio padre ha deciso di puntare sulla tradizione e sui vitigni autoctoni», conferma Sofia Pepe con il suo piglio dolce ma determinato. Per la sua famiglia l’unico modo per far esprimere al meglio un vitigno è sempre stato quello di accompagnarlo nel suo percorso, intervenendo il meno possibile.
Il vino di Pepe nasce nei vigneti storici con piante che vanno dai 50 ai 70 anni coltivate a pergola abruzzese con i nuovi impianti originati da una selezione massale fatta nelle vecchie vigne. L’azienda agricola, nata nel ’64 con poco più di un ettaro di vigna, oggi può contare su 32 ettari di terra di cui 18 vitati con una produzione annuale di circa 75mila bottiglie, la metà delle quali vendute all’estero. Siamo intorno ai 300 metri di altezza tra Torano Nuovo e Controguerra, stretti tra il Gran Sasso, i Monti Sibillini e il mare Adriatico distante appena 10 km. Un luogo perfetto per la viticoltura grazie ai terreni calcareo-argillosi, alle grandi escursioni termiche tra il giorno e la notte e ai venti che favoriscono la salubrità delle piante.
«L’errore più grande che potremmo fare sarebbe quello di replicare pedissequamente quello che ha fatto mio padre – spiega Sofia, mentre in lontananza le nevi del Gran Sasso riflettono il sole – Certo, dobbiamo valorizzare l’incredibile bagaglio di conoscenze che ci ha trasmesso, ma allo stesso tempo accogliere tutto ciò che di valido può arrivare dalla ricerca. Come l’innovativo metodo di potatura di Simonit&Sirch basato sulla continuità del flusso linfatico o come la biodinamica che applichiamo con successo dal 2005».
In cantina, però, le cose si fanno sempre allo stesso modo. Le uve Pecorino e Trebbiano vengono pigiate con i piedi in piccoli contenitori di legno dotati di una grata che lascia filtrare il mosto fiore. Poi le vinacce vengono torchiate delicatamente insieme ai raspi per donare al mosto tutte quelle sostanze che permetteranno al vino di essere protetto dall’ossidazione. A questo punto viene tutto trasferito in vasche di cemento vetrificato da 22 a 30 ettolitri in cui parte la fermentazione spontanea, al termine della quale si travasa il vino in una seconda vasca in cui svolgerà la malolattica e maturerà per 2 anni sulle fecce fini prima di essere imbottigliato senza chiarifiche né filtrazioni e, nella maggior parte dei casi, senza SO2 aggiunta. Vasca per vasca si decide quale destinare al commercio e quale alla Riserva che prevede un ulteriore periodo di affinamento in cantina. Lo stesso procedimento viene applicato alle uve di Montepulciano provenienti dalle vigne più giovani con le quali si produce il Cerasuolo d’Abruzzo, con l’unica differenza che tutte le bottiglie entrano in commercio contemporaneamente senza destinarne una parte alla Riserva.
Il Montepulciano d’Abruzzo prevede, invece, una diraspatura manuale e una fermentazione spontanea in vasche di cemento con chicco intero al fine di favorire un’estrazione più delicata dei polifenoli. La macerazione dura tra i 7 e i 10 giorni durante i quali sono previste continue follature manuali fino a quando le vinacce non vengono estratte e pressate. Da questo momento in poi il percorso è lo stesso riservato alla vinificazione in bianco, con la particolarità che le bottiglie di Montepulciano Riserva, prima di essere messe in commercio, vengono decantate in una nuova bottiglia e ritappate con l’obiettivo di eliminare il residuo che si forma nei lunghi anni di affinamento. «Nei prossimi anni introdurremo una grande novità – rivela Sofia passeggiando tra le vasche di cemento – Da sempre vinifichiamo e imbottigliamo separatamente le nostre 14 vigne ma non le abbiamo mai riportate in etichetta. Il progetto è ora quello di inserire il nome del vigneto su tutte le etichette dei vini Riserva».
In definitiva possiamo dire che, nonostante l’immaginario comune attribuisca alla famiglia Pepe il ruolo di custodi della tradizione, la realtà ci parla di una cantina dinamica e aperta agli stimoli portati dalle nuove generazioni, come le nipoti di Emidio, Chiara ed Elisa rispettivamente di 27 e 21 anni. Saranno loro a custodire una grande storia italiana del ‘900 che può essere raccontata attraverso le circa 300mila bottiglie di Riserva che affinano nella cantina storica.