Val di Cembra

Può essere definita la culla della viticoltura trentina, visto che qui, nelle campagne del versante meridionale del Doss Ciaslìr di Cembra, è stato rinvenuto, nel 1848, un raffinato bacile bronzeo reto-etrusco, risalente al IV secolo a.C. e probabilmente utilizzato nelle cerimonie religiose, detto Situla di Cembra. Nella Val d’Adige la viticoltura era comunque già praticata almeno dall’età del Bronzo (1800-1600 a. C.) come testimoniano i vinaccioli nell’insediamento di Ledro, che fu, in epoca romana, un raccordo nevralgico per il commercio del vino. Vocazione che mantenne nel Medioevo grazie all’attività dei monaci e che riprese fiorente dal XII secolo, con la svolta importante, per la viticoltura e per l’enologia trentina, della costituzione dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige nel 1874. Passate fillossera e guerre mondiali, la ripresa e la vera svolta qualitativa si ebbero solo alla fine degli anni ’70, quando, comprese le potenzialità del territorio, si iniziarono a piantare uve bianche destinate a produzioni di eccellenza e di appeal internazionale.

Ritratta negli acquerelli del pittore tedesco Albrecht Dürer, di passaggio nella valle durante il suo viaggio in Italia del 1494, la Valle di Cembra è senza dubbio uno dei territori vinicoli più caratteristici del nostro Paese, la cui viticoltura terrazzata è stata inserita, nell’ottobre 2020, nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici. Un riconoscimento reso possibile anche dal lavoro di valorizzazione del territorio iniziato nel 2011 e che ha portato nel 2019 all’istituzione del comitato VIVACE (acronimo di Viticoltura Valle di Cembra). Come si legge nel commento dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale Storico al dossier inviato al Ministero: «la storia della Valle di Cembra inizia in epoca preistorica ma è a partire dal periodo medioevale che l’economia locale inizia a basarsi sull’attività vitivinicola con il rimodellamento delle pendici montane a fini agricoli. Grazie alla particolare vocazione dell’area alla coltivazione della vite, è stato possibile nel corso dei secoli dare vita ad una radicata cultura enologica che garantisce, ancora oggi, la produzione di vini di alta qualità mantenendo le caratteristiche del paesaggio storico».

A caratterizzare il territorio è la profonda insenatura scavata dal torrente Avisio, una superficie di 2.243 ettari ai lati della quale si sviluppa sui pendii il complesso insieme di boschi, frutteti e un 30% di vigneti terrazzati, sorretti da ben 708 km di muretti a secco.

Particolare anche la conformazione geologica per la presenza del prezioso porfido rosso, le cui cave «hanno contribuito – si legge ancora nel dossier – a ridurre i fenomeni migratori, assorbendo a partire dalla seconda metà del XX secolo molta manodopera; ciò ha garantito il mantenimento dell’attività vitivinicola tradizionale che è diventata parte complementare dell’attività lavorativa continuando a costituire parte fondamentale della cultura e dell’identità della popolazione locale». In questo contesto si inserisce una delle realtà economiche più rappresentative, Cembra Cantina di Montagna, la cantina più alta del Trentino (700 m s.l.m.), nata nel 1952 per iniziativa di alcuni viticoltori e oggi composta da circa 400 soci che operano sulle impervie e tipiche terrazze della Valle, della quale abbiamo intervistato il Direttore tecnico Ezio Dellagiacoma.


L'intervista

Ezio Dallagiacoma

direttore tecnico di Cembra Cantina di montagna

Quando e come ha inizio la storia della vostra cantina cooperativa? Come siete riusciti a crescere negli anni? Quanti conferitori e soci sono coinvolti oggi nella vostra attività?

«Correva il 1952 quando alcuni viticoltori decisero di dare vita a Cembra Cantina di Montagna. Vendemmia dopo vendemmia, la cantina si è affermata sempre più nel panorama vinicolo regionale e nazionale e ad oggi annovera circa 300 soci che praticano una viticoltura eroica lungo le impervie terrazze della Val di Cembra. Situata a 700 m s.l.m., Cembra Cantina di Montagna è la cantina più alta del Trentino e la sua è una realtà a misura d’uomo che affonda i propri valori nella territorialità e nell’indissolubile legame con i propri conferitori». 

Qual è la percentuale di vigneti riconosciuti eroici gestiti dai vostri conferitori e soci?

«300 ettari».

Quali sono le principali difficoltà della viticoltura in Val di Cembra? Sulla base di quali aspetti può essere definita eroica?

«La Val di Cembra si estende su una superficie di 2.243 ettari, di cui il 30% è destinato a una viticoltura che avviene lungo vertiginosi pendii terrazzati. L’origine di tale mosaico pittoresco è da ricercare indietro nel tempo: nel corso dei secoli i contadini sono stati costretti a rimodellare radicalmente i pendii, cercando di strappare ai ripidi declini boschivi dei fazzoletti di terra da destinare alla coltivazione, in particolar modo della vite. Complice l’innata vocazione del territorio alla realizzazione di vini unici, la viticoltura ha dato una grande spinta all’economia locale, prima guidata perlopiù dal florido mercato del porfido, mantenendo intatti il paesaggio storico naturale e l’identità della popolazione locale. Questa viticoltura eroica lungo pendii spesso difficili da raggiugere e da lavorare rende Cembra Cantina di Montagna una portavoce autentica della dedizione tipica della gente trentina. A testimoniarlo sono le centinaia di ore l'anno – tra 900 e 1.000 – necessarie per coltivare ogni singolo ettaro di vigna: un impegno fuori dal comune che non ha mai intimorito gli eroici vignaioli cembrani. La fatica e il duro lavoro si concretizzano ogni giorno nel raggiungere – a un’altitudine compresa tra i 450 e i 900 metri – ostici appezzamenti su cui nessun macchinario può essere utilizzato: in molti casi le pendenze superano il 40% e tutte le operazioni in vigna vengono svolte manualmente, con lunghi tempi di lavorazione. Gli eroi del vino devono anche fare i conti con le difficoltà meteorologiche, che in questa amena vallata sono più accentuate e frequenti e possono causare seri danni alle colture. Disagi superati giorno dopo giorno grazie al coraggio, all'amore e all'infinita dedizione che consentono di affrontare e "domare" una terra avversa».

Qual è la loro età media? Esiste un problema di ricambio generazionale? 

«L’età media dei nostri conferitori si aggira attorno ai 60 anni, ma per fortuna la Val di Cembra è una delle realtà dove, nonostante tutto, ci sono anche molti figli e nipoti dei viticoltori che scelgono di proseguire la tradizione vitivinicola dei propri avi, iniziando a lavorare sin da piccoli nell’azienda di famiglia. Con orgoglio perpetuano il legame con la maestria artigiana, portando con sé una ventata di freschezza grazie alla formazione tecnica scolastica, ai nuovi saperi e all'innovazione tecnologica».

Cosa comporterebbe per il territorio la perdita di viticoltori e manutenzione? 

«Innanzitutto degrado, abbandono e violenti dissesti idrologici. I 708 km di terrazzamenti che si districano in tutta la Val di Cembra sono un monumento antropico di inestimabile valore, che tuttavia ogni anno necessita di peculiari interventi di controllo e manutenzione per evitare che il patrimonio costruito nel corso dei secoli dai patriarchi del vino cembrani vada perduto. Oltre a dipingere la valle con una miriade di tasselli in porfido arricchendone la bellezza, i muretti a secco giocano infatti un ruolo primario nella prevenzione di frane, alluvioni e valanghe. I muretti a secco, al tempo stesso, preservano la preziosa biodiversità in vigna. Il risultato è l'autentica espressione dell’armonia che esiste tra la natura e i viticoltori, chiamati a custodirla e a valorizzarla».


Il disciplinare della DOC Trentino Superiore

sottozona Val di Cembra

Nel giugno 2017 il Mipaaf ha approvato un pacchetto di modifiche del disciplinare di produzione dei vini DOC, andando ad includere per la DOC Trentino Superiore la specificazione della sottozona “Cembra” o “Valle di Cembra” (Allegato 5). La dicitura è riservata ai vini ottenuti da uve dei seguenti vitigni: Müller-Thurgau, Pinot nero, Riesling renano e Schiava (gentile, grossa, grigia). Sia per i bianchi (Müller-Thurgau e Riesling renano) che per i rossi (Pinot nero e Schiava) possono concorrere alla produzione dei vini, rispettivamente uve a bacca bianca e uva a bacca nera di varietà idonee alla coltivazione nella provincia di Trento, presenti nei vigneti in misura non superiore al 15%.

La sottozona Valle di Cembra è localizzata in provincia di Trento e comprende il territorio dei comuni di Albiano, Altavalle limitatamente ai comuni catastali di Faver, Grumes e Valda, Cembra Lisignago, Giovo, Lona-Lases limitatamente ai comuni catastali di Lona e Lases.

I vigneti idonei alla produzione dei vini “Trentino Superiore” sottozona “Valle di Cembra” o “Cembra” devono rispondere ai seguenti requisiti previsti per le corrispondenti varietà di vite: Müller-Thurgau: terreni sulle pendici, dotati di esposizione ottimale, posti ad un’altitudine non inferiore a 500 m s.l.m. Pinot nero: terreni sulle pendici, limitatamente alle zone meno precoci, posti ad un’altitudine non inferiore a 350 m s.l.m. e non superiore ai 700 m.s.l.m., limitatamente alle zone con buona esposizione; oltre i 700 metri di quota nei soli versanti esposti a sud. Riesling renano: terreni sulle pendici, posti ad un’altitudine non inferiore a 300 m s.l.m. e non superiore ai 700 m s.l.m. limitatamente alle zone con buona esposizione; oltre i 700 metri di quota nei soli versanti esposti a sud. Schiava: terreni sulle pendici, dotati di esposizione ottimale, posti ad un’altitudine non inferiore a 250 m s.l.m.

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti devono essere quelle tradizionali della zona di produzione (pergola semplice, pergola doppia o forme a spalliera verticale) e, comunque, atte a conferire alle uve ed al vino derivato le sue specifiche caratteristiche di qualità. Nei nuovi impianti e nei reimpianti deve essere data preferenza all’introduzione di forme di allevamento a parete verticale con una densità minima di 4.000 ceppi per ettaro; nei casi in cui sussistono fondate motivazioni tecniche, può essere mantenuta la tradizionale forma di allevamento a pergola semplice con una densità minima di 3.500 ceppi per ettaro.

È vietata ogni pratica di forzatura, l’irrigazione è consentita come intervento di soccorso e la produzione massima di uva e vino per ettaro di vigneto non deve superare i limiti indicati per ciascuna varietà di vite o tipologia. Prima di essere immessi al consumo, i vini devono essere sottoposti ad un periodo di invecchiamento di almeno 4 mesi per Müller-Thurgau e Schiava e di almeno 12 mesi per Riesling renano e Pinot nero. Nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata “Trentino” accompagnata dalla menzione “Superiore” e con la specificazione della sottozona “Valle di Cembra” o “Cembra”, può essere utilizzata la menzione “vigna” seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale.




Valle Isarco

È il territorio vinicolo più a nord d’Italia, che si estende nella vallata scavata dal fiume Isarco ai piedi delle Dolomiti e fino alla conca di Bressanone, nei cui pressi, a Stufles, è stato ritrovato un vaso di terracotta con dei vinaccioli, datato 500 a.C., testimonianza che qui già i Reti praticassero la vinificazione ben prima dell’arrivo dei Romani. Un territorio difficile da coltivare per pendenze, altitudine, clima, che ha richiesto, sin dal Medioevo, tutta la tenacia dei suoi abitanti, espressa attraverso la realizzazione di terrazzamenti e muretti a secco, per prosperare. In particolare, è solo grazie al lavoro di monaci e monache se l’attività vinicola sopravvisse alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, tra cui quelli delle due abbazie che, tutt’oggi, garantiscono continuità alla viticoltura:
l’
Abbazia di Novacella e il Monastero di Sabiona. Inizia nel lontano 1142 la storia enologica dell’Abbazia di Novacella, che ci viene raccontata da Werner Waldboth, direttore commerciale e marketing dell’omonima cantina, nell’intervista che segue. Un filo più recente, invece, quella di Sabiona, diventata nel 1687 Monastero delle Benedettine, monache provenienti da Nonnberg, nei pressi di Salisburgo, che vi risiedono ancora oggi, praticando la Regola di San Benedetto da Norcia: «ora et labora et lege» (prega, lavora e leggi). I vigneti del monastero, che coprono i ripidi pendii dei possenti rilievi dioritici di Sabiona, una delle migliori zone colturali in assoluto, sono oggi appannaggio della Cantina Produttori Valle Isarco, realtà cooperativa fondata nel 1961 che raccoglie 130 soci, la quale ne ottiene i due prodotti più selettivi della sua linea, il Sabiona Kerner e il Sylvaner, nell’esiguo numero di 3.000 bottiglie ciascuno.

A livello territoriale, la sottozona Valle Isarco o Eisacktal si inserisce nell’ambito della denominazione Alto Adige o Südtirol, riconosciuta nel 1975 e ricadente nell’intera Provincia di Bolzano, per una superficie complessiva di 440 ha e un’altitudine dei vigneti che si spinge fino a circa 1.000 m s.l.m., in situazioni di pendenza (oltre il 30%) tali da favorire un’insolazione diretta e prolungata (l’esposizione dei terreni vitati è generalmente orientata da est a sud-ovest). Differente rispetto al resto della DOC anche la formazione geo-pedologica della Valle Isarco, dove ai tipici suoli morenici e ghiaiosi formatisi dall’erosione dei ghiacciai che caratterizzano i pendii di medio-alta collina si somma la presenza di granito, scisto micaceo e fillade quarzifera, con buona capacità di immagazzinare l’acqua, il che permette di massimizzare le già scarse precipitazioni che colpiscono l’area. Anche il clima è caratterizzato da forti escursioni termiche tra giorno e notte, a beneficio delle varietà bianche semi-aromatiche coltivate nella zona. Un altro elemento che contribuisce a disegnare il quadro della viticoltura eroica della Valle Isarco sono, infine, le ridotte dimensioni degli appezzamenti di proprietà, che si aggirano attorno all’ettaro, richiedendo, quindi, un ulteriore aggravio sul lavoro in vigna (600-800 ore per ettaro) per massimizzare rese e profitti, al fine di ottenere produzioni contenute (60-70 hl/ha) ma ad alto livello qualitativo.


​​Il disciplinare della DOC Alto Adige sottozona Valle Isarco

I vini Alto Adige DOC sottozona Valle Isarco o Eisacktal o Eisacktaler coinvolgono le seguenti varietà, che devono apparire in etichetta: Traminer aromatico, Pinot grigio, Grüner Veltliner, Sylvaner, Müller Thurgau, Kerner e Riesling, tutte provenienti da vigneti costituiti per almeno l'85% dai corrispondenti vitigni e per il restante 15% massimo da altri vitigni a frutto di colore analogo e idonei alla coltivazione per la provincia autonoma di Bolzano; per la tipologia «Klausner Laitacher», le uve devono provenire da vigneti costituiti dai vitigni Schiava e/o Portoghese e/o Lagrein e/o Pinot nero, situati nei comuni di Barbiano, Chiusa, Velturno e Villandro. Le uve destinate alla produzione della DOC Alto Adige Valle Isarco o Eisacktal o Eisacktaler devono essere coltivate nella zona che comprende in parte il territorio dei seguenti comuni: Barbiano, Bressanone, Castelrotto, Chiusa, Fiè, Funes, Laion, Naz-Sciaves, Renon, Velturno, Villandro e Varna. Solo per i vini prodotti con uve provenienti dai comuni di Bressanone, Naz-Sciaves e Varna è consentito indicare in etichetta la specificazione “Bressanone” o “Brixner”. Le forme di allevamento sono rimaste perlopiù quelle tradizionali a pergola (impianti da 3.500 a 5.000 ceppi per ettaro), talvolta sostituite dalla spalliera (fino a 7.000 ceppi per ettaro). Da almeno 50 anni è praticato l’inerbimento totale dei filari abbinato all’irrigamento a goccia, che permettono la crescita delle piante anche in stagioni siccitose. Tra le pratiche qualitative, è praticato il diradamento manuale del grappolo allo scopo di raggiungere il giusto grado zuccherino e contenere le rese. La produzione di vini si concentra perlopiù su vini tranquilli di gusto secco, da monovitigno, eccetto qualche raro uvaggio di tipo bordolese. Per i vini rossi strutturati (in particolare per la tipologia Riserva), la vinificazione comporta un invecchiamento per determinati periodi in tini di diverse dimensioni.


L'intervista

Werner Waldboth

direttore commerciale e marketing di Abbazia di Novacella

Quando e come ha inizio la storia della vostra cantina e come si è sviluppata negli anni?

«L’Abbazia di Novacella è stata fondata nel 1142 e già dai suoi inizi la proprietà del monastero includeva anche dei vigneti, lasciando presupporre già una produzione vinicola. Tuttavia, fino alla fine del XIX secolo, tali vini venivano consumati solo all’interno dell’Abbazia, dai pellegrini e dai monaci. Un’espansione produttiva si ebbe solo 60 anni fa, quando l’abbazia ha iniziato a collaborare con i contadini dei dintorni, abbinando quindi le uve dei propri vigneti, con quelle provenienti da quelli di altri 60 conferitori organizzati tra loro in una cooperativa. Oggi il loro apporto è di 60 ettari vitati, che sommati ai 26 ettari di proprietà dell’abbazia, garantiscono una produzione complessiva di circa 750 mila bottiglie». 

Esiste un problema di ricambio generazionale?

«In Alto Adige abbiamo la fortuna che la produzione di uva sia interessante anche in termini economici. Quindi la viticoltura è un settore apprezzato anche dai giovani e per questo non ci sono grandi problemi di ricambio generazionale, anzi: negli ultimi anni la superfice vitata è anche aumentata, perché c’è un grande interesse di investire e lavorare in questo settore». 

Quali sono le principali difficoltà della viticoltura in Valle Isarco?

«Naturalmente lavorare in zone alte e ripide è faticoso. Bisogna poi considerare che il rischio di perdere la produzione di un’annata è più alta rispetto ad altri areali: bisogna fronteggiare le gelate invernali e primaverili che danneggiano i vigneti, le grandinate, la siccità, gli imprevisti meteorologici. Per via della posizione e pendenza dei terreni, la maggior parte del lavoro deve ancora oggi essere fatta a mano, allungando i tempi di lavoro in vigna. Però, come ho detto: per fortuna il risultato garantisce ai viticoltori un reddito soddisfacente e quindi gli sforzi vengono ripagati». 

A livello geologico e climatico cosa contraddistingue la zona rispetto al resto della Provincia?

«La Valle Isarco è la zona più fredda dell’Alto Adige e ciò ha anche un grande impatto sulle varietà che coltiviamo. Varietà che nel resto dell’Alto Adige quasi non si trovano, come Kerner, Sylvaner, Grüner Veltliner e Riesling. La tipologia dei suoli è spesso simile, perché anche noi abbiamo depositi morenici, molto diffusi in Alto Adige, tuttavia è diversa la loro composizione, perché da noi è più rilevante la quota di granito, scisto e calce».

Parliamo delle varietà locali: quali sono e quali sono i loro punti di forza e, di contro, le loro debolezze?

«La maggior parte delle varietà che coltiviamo ha una buona resistenza a gelate invernali, che oggi non sono più frequenti, però fino a qualche decennio ricorrevano anche spesso. Per questo abbiamo varietà che sappiamo essere ben adattate a zone caratterizzate da un clima continentale, come l’Austria o la Germania». 

Qual è il sistema di allevamento tradizionale?

«In Alto Adige il sistema tradizionale sarebbe la pergola, però da noi già da molto tempo tutto è stato sostituito dal Guyot». 

A livello di mercato: quali sono i vostri sbocchi di riferimento? Quali le principali difficoltà di posizionamento?

«Noi puntiamo quasi esclusivamente sul canale HORECA, quindi ristoranti e enoteche. Per poter garantire ai nostri fornitori dei redditi interessanti (nel modo che continuano a fare la viticoltura) i prezzi dei nostri prodotti hanno un certo livello. Una scelta non esente da difficoltà, perché inevitabilmente non ci rende competitivi in termini di prezzi».




Le uve di montagna

Una base ampelografica ampia e variegata, rapportata a un territorio vitato piuttosto piccolo, è la peculiarità delle produzioni vinicole di Alto Adige e Trentino. In entrambi i casi, ciò è dovuto alla variabilità di aree climatiche, suoli, altimetrie e pendenze, abbinate a storia e tradizioni, che rendono i due territori vinicoli particolarmente ricchi e complessi da inquadrare. Molte le uve condivise, che vanno dalle varietà tradizionali, come Lagrein, Schiave, Moscati, a quelle internazionali arrivate nell’Ottocento da Bordeaux (Cabernet, Merlot, Sauvignon), Borgogna (i diversi Pinot) e del Reno (Riesling, Sylvaner, Traminer aromatico), raggiunte appena mezzo secolo fa anche da Müller-Thurgau e Kerner. Comune anche il percorso intrapreso a partire dagli anni ’80, che ha visto modificarsi radicalmente la composizione varietale della superficie viticola a favore delle varietà bianche, che attualmente rappresentano il 74% della superficie totale in Trentino e il 62% in Alto Adige.

Rappresentando, per entrambe le Province autonome, i due areali dalle condizioni pedoclimatiche più estreme, sia in Valle di Cembra che in Valle Isarco ad avere la meglio sono state le varietà più resistenti e adattate ai climi freddi, molte delle quali provenienti da zone vitivinicole europee caratterizzate da clima continentale, come la Valle del Reno. Proprio dalle sponde della Germania, dove veniva coltivato già in epoca romana, diffondendosi poi con successo anche in Austria (valle del fiume Wachau), proviene il Riesling renano, uva a bacca bianca a maturazione tardiva, resistente al gelo, che teme il caldo e necessita di esposizioni ben soleggiate e ventilate, come quelle tipiche della Valle di cui è originaria. I suoi mosti si caratterizzano in gioventù per i deboli sentori floreali di origine terpenica (linalolo, geraniolo, seguiti da α-terpineolo, nerolo, citronellolo e ho-trienolo), per maturare poi nei più intriganti e tipici sentori idrocarburici (cherosene) dovuti alla degradazione dei carotenoidi della buccia, che lo rendono uno dei vini bianchi più interessanti per l’invecchiamento.
Dall’incrocio con altre varietà sono stati ottenuti altri vitigni tipici degli areali di montagna e diffusi in entrambi gli areali trattati, tra cui il Müller-Thurgau e il Kerner. 

È appunto l’esito dell’incrocio tra Weiber Riesling e Madaleine Royale (Chasselas) messo a punto nel 1883 dall’enologo del cantone svizzero di Thurgau Hermann Müller, dal quale ha ereditato il nome, il Müller-Thurgau. In Val di Cembra trova il suo habitat ideale nelle zone di alta collina comprese fra i 500 e gli 800 metri s.l.m., mentre in Valle Isarco apprezza i terreni detritici a quote elevate e ventilate tra 550 e 1.000 m s.l.m. Grazie al clima fresco e alle forti escursioni termiche fra il giorno e la notte, esprime al massimo il suo potenziale aromatico, caratterizzato dai sentori terpenici tipici del Riesling renano (linalolo, α-terpineolo, seguiti da geraniolo, nerolo e citronellolo), che si declinano in aromi floreali, accompagnati da quelli di agrumi e noce moscata.

Il Kerner, che deve il proprio nome al poeta tedesco Julius Kerner, è invece ottenuto dall’incrocio tra Riesling renano e Schiava messo a punto nel 1929 nella stazione sperimentale di Weinsberg in Germania. Dà il meglio di sé nelle zone più alte, fresche e con le maggiori escursioni termiche delle due Valli, che lo portano a esprimere la sua aromaticità fruttata e il tipico sentore di mandorla.

Fa parte del bagaglio ampelografico tipico del Trentino-Alto Adige invece la Schiava (di cui esistono, in realtà, tre varietà, spesso mischiate tra loro), uva coltivata un po’ ovunque nei due territori amministrativi, nel tradizionale impianto a pergola, necessario a contenerne il vigore vegetativo e la produttività: deriverebbe proprio da tale pratica di legatura dei tralci ai pali, emblema di schiavitù, anche l’etimo del suo nome. Un tempo apprezzata per le sue abbondanti vendemmie, a partire dagli anni ’80 ha visto dapprima ridursi di molto i suoi ettari vitati, in favore di produzioni qualitative perlopiù da varietà bianche, per ritrovare, in tempi più recenti, un nuovo equilibrio produttivo, capace di valorizzarne in particolare le sue qualità di freschezza, versatilità e aromaticità fruttata. 

Tornando alle uve internazionali, altra varietà presente in entrambe le DOC provinciali è poi il Pinot nero, che apprezza i terreni calcarei di quote medio-alte e ben esposte.
Caratterizzano invece la DOC Alto Adige, e in buona parte la sottozona Valle Isarco, il
Traminer aromatico (Gewürztraminer) e il Lagrein, vitigno tipico del comune di Bolzano, dove è vinificato con successo sin dal 1097 dai Padri Benedettini dell’Abbazia di Muri-Gries. In Trentino, appaiono entrambi tra le uve ammesse (fino al 15%) nella DOC Trentino Superiore Val di Cembra: proviene da zone pedemontane o sulle pendici dei monti o collinari ben esposte non superiori ai 450 m s.l.m. il Traminer aromatico, noto per i suoi mosti profumati, dall'acidità contenuta e dalla buona alcolicità; mentre il Lagrein lo troviamo su terreni alluvionali, sciolti e ben drenati, alle pendici dei monti o su colline ben esposte, ad un’altitudine non superiore ai 400 m s.l.m. I suoi vini sono sempre intensi nel colore e nei profumi, soprattutto fruttati, balsamici e speziati, dal corpo ricco ma sempre ben bilanciato dall’acidità.

Circoscritti in Italia unicamente alla Valle Isarco sono infine il Grüner Veltliner, proveniente dall’Austria e adattato ai terreni detritici della Valle Isarco, sui pendii più caldi fra i 500 e i 650 metri di quota, e il Sylvaner verde, probabilmente originario della media Valle del Reno e diffusosi con successo anche in Europa orientale e in Austria, da dove sarebbe stato poi importato in Alto Adige. È un vitigno molto vigoroso e produttivo, che ama il freddo e che dà mosti di spiccata acidità, dai profumi erbacei, dal corpo leggero e non particolarmente longevi, salvo affinamenti più prolungati in legno.