Un vero e proprio “grand cru” come lo definì Luigi Veronelli, l’iconico vino bianco umbro della costellazione enologica dei Marchesi Antinori
Il Cervaro della Sala è il bianco più iconico della costellazione vinosa dei Marchesi Antinori. Viene prodotto dal 1985 (ma la prima vera annata uscita sul mercato è stata l’86) nei vigneti del Castello della Sala, in comune di Ficulle, a nord di Orvieto, perciò in Umbria. Nei dintorni del trecentesco castello realizzato dai Monaldeschi della Cervara, da decenni di proprietà della famiglia Antinori. La storia del Cervaro è legata ovviamente alla figura di Piero Antinori, che volle a suo tempo affiancare un grande bianco a base Chardonnay ai famosi rossi toscani che produceva da tempo, Tignanello e Solaia in primis.
Accanto a lui c’è però la storia professionale e umana di Renzo Cotarella, che del Cervaro è stato il vero mentore. Oggi Renzo è Amministratore delegato della Antinori, allora era un giovane enologo appena trentenne che Piero Antinori prelevò letteralmente dal Consorzio dell’Orvieto dove era direttore, e mettendolo a capo dell’impresa. Alla Sala si facevano già dei vini, ma in precedenza e per diversi anni la cantina di proprietà di Antinori a Orvieto era la Bigi, poi ceduta al Gruppo Italiano Vini. La storia aziendale e vinosa del Castello della Sala iniziò subito dopo e il Cervaro fu pensato e realizzato solo alla metà degli anni Ottanta e molto per merito proprio di Renzo Cotarella, che lo impostò, inizialmente con la supervisione di Giacomo Tachis, ma dopo il 1993 completamente da solo. Fu quindi decisivo e il Cervaro della Sala resta ancora oggi il vino che più lo rappresenta come stile enologico. Nel tempo molte cose sono cambiate tecnicamente. Le prime annate vedevano un uso del legno molto più pronunciato, talvolta persino eccessivo, tanto che ci volevano molti anni perché si fondesse con gli altri elementi. C’è da dire che era un comune modo di interpretare lo Chardonnay in quegli anni, forse sulla spinta di quelli del Nuovo Mondo, California e Australia in primis. Le prime versioni meno “legnose” iniziarono negli anni Novanta, con il 1992 e il 1994, che videro un’evoluzione tecnica che da allora si è fatta sempre più evidente. Nelle ultime, la permanenza del vino in barrique si è addirittura dimezzata e a partire dal 2017 il Grechetto, che partecipa al blend per il 10%, è affinato solo in acciaio. Scelte dovute anche al cambiamento climatico? Forse. Sta di fatto che proprio le ultime versioni di Cervaro della Sala sono davvero diverse e, a mio sommesso parere, migliori e più equilibrate di come erano in passato, e questo è un vero segno dei tempi. Qui vi propongo le sette ultime annate uscite sul mercato, a partire dal 2012. Alcune derivano da vendemmie calde, la 2017 su tutte, altre da annate più fresche, come la 2014. Tutte rappresentano molto bene e con coerenza gli andamenti stagionali e derivano dagli stessi vigneti su terreni calcareo argillosi tipici della zona settentrionale del comprensorio di Orvieto, dove, parafrasando Luigi Veronelli, il Castello della Sala rappresenta un vero e proprio “grand cru”.