Promotore della ripartenza del turismo, rispondendo alle attuali esigenze di vivere un soggiorno al tempo stesso sicuro, accessibile, diversificato, di prossimità, l’enoturismo del futuro sarà in grado di coinvolgere enogastronomia, relax, arte e cultura
L’enoturismo, così si legge sul dizionario, è quella forma di turismo tematico volto alla scoperta del vino e della sua produzione. Tuttavia, allo stato attuale delle cose, tale definizione risulta essere moderatamente riduttiva ed eufemistica. In effetti, se è vero che l’enoturismo ha a che fare con il vino, è altrettanto vero che il suo raggio d’azione si va a intrecciare con molteplici elementi. Aspetto complesso, quest’ultimo, confermato dai numeri di un settore che ha registrato ben 15 milioni di presenze al 2019, per un valore economico superiore ai 2,5 miliardi l’anno, con rispettivo incremento nell’ordine del 7% e del 6% rispetto al 2018 (fonte XVI Rapporto sul turismo del vino in Italia). Dati che avrebbero senz’altro proseguito la loro ascesa se il 2020 avesse proposto scenari turistici diversi da quelli effettivamente vissuti.
Già nel 2019, infatti, oltre il 50% dei turisti italiani affermava di aver effettuato almeno una visita in cantina, con una percentuale di enoturisti (turisti che hanno specificatamente prediletto una vacanza a tema “vino”) che ruotava attorno al 30%, consacrandolo, pertanto, come l’anno dalle più alte performance in termini di turismo del vino. Una ulteriore considerazione riguarda la natura stessa di questa specifica nicchia di mercato, crocevia di due rilevanti risorse economiche del Bel Paese: il settore turistico che, precedentemente all’emergenza Covid-19, generava il 13% del PIL italiano, e il settore vinicolo, per il quale l’Italia è leader mondiale in termini di produzione, con una stima di 49 milioni di ettolitri prodotti nel 2020, e in volata verso il primato anche in termini di esportazione.
Tali cifre si accompagnano, banalmente, a una considerazione: l’enoturismo, in Italia, ha un potenziale immenso, perlopiù inespresso e sicuramente non sfruttato.
In prima istanza, è opportuno sottolineare che non tutte le regioni italiane esercitano sul pubblico lo stesso fascino. La Toscana, ad esempio, si riconferma al 2019 come la regione più attrattiva, con oltre il 50% di preferenze, seguita a debita distanza da Piemonte e Trentino-Alto Adige.
Vi è però un dato che, più degli altri, denuncia lo stato delle cose, ovvero il fatto che la possibilità di pernottamento presso realtà enoturistiche rappresenta poco più del 10%. Un valore decisamente troppo basso per un Paese in cui turismo e vino intervengono in modo significativo nella generazione del PIL.
Se è vero che, allo stato attuale, l’incremento delle presenze ha comportato la crescita del fatturato delle cantine ospitanti, incidendo positivamente anche sugli altri operatori della filiera collocati all’interno dello stesso territorio, si può desumere che il valore potenziale dell’enoturismo corrisponda, in termini economici, a numeri da capogiro.
Una nuova idea di vacanza
Le restrizioni dovute al Covid-19, nel loro sconvolgente rovesciamento di consuetudini e desiderata della popolazione, hanno riconfigurato l’idea della vacanza tradizionale, concedendo un crescente spazio di manovra a nuove interpretazioni del “fare turismo”. Questo, in un pubblico alla costante ricerca di risposte più che soddisfacenti, ha contribuito all’insorgenza di nuovi bisogni. Accade quindi che l’enoturismo si possa elevare a sinottica soluzione turistica, condensando visite, relax ed enogastronomia all’interno del frame “covid-free”, mostrando, peraltro, un seducente appeal che strizza l’occhio alla prosperante “fame di verde”.
Dove ci sono le vigne, del resto, non mancano natura e spazi aperti, garanzia di quell’agognata “sicurezza” al di fuori di quelle mura domestiche dove restrizioni e smart working ci hanno costretti, forse, troppo a lungo.
Un ulteriore punto di forza dell’enoturismo si staglia tra le fila dei nuovi adepti del mondo del vino e, più in generale, dell’enogastronomia: i Millennials (Garibaldi). Se in passato il turismo enogastronomico incuriosiva, in maggior misura i viaggiatori della generazione dei Boomers e della Generazione X, ovvero classi che vanno dal secondo dopoguerra fino ai primi anni ‘80, oggi sono proprio i Millennials, dai 25 ai 39 anni, i fautori della cultura enogastronomica; così come i loro successori, la cosiddetta Generazione Z, appaiono già ben disposti per il passaggio del testimone. La peculiarità di queste due ultime generazioni è la loro propensione all’informazione e alla ricerca, aspetti che le rendono più preparate e, di conseguenza, più esigenti. Sono loro i pionieri di quell’incalzante lotta per l’esclusività, affamati di esperienze che possano connetterli con le loro passioni ma che, al tempo stesso, gli conferiscano uno status che gli consenta di distinguersi dalla massa. Il turismo del vino ha senz’altro beneficiato di questo trend, proponendo attività ed esperienze in linea con le richieste di un pubblico nuovo e sempre più pretenzioso.
Banalmente, l’enoturismo beneficia anche di quella sempre maggiore propensione a stringere un intimo legame con la sostenibilità, tema sempre più caro all’opinione pubblica e, in special modo, alla generazione dei Millennials, entrato ormai “a gamba tesa” all’interno del contesto vitivinicolo. La palese dimostrazione di quanto detto, si evince dalla diffusa volontà delle aziende vinicole di proporsi come fedeli interpreti di un territorio, cercando di conciliare la produzione del vino con il minor impatto ambientale possibile. La conversione al biologico o l’impiego del biodinamico, così come l’inclusione di vini cosiddetti naturali fra le etichette, divengono, pertanto, manifesto e garanzia di rispetto per quella stessa natura in cui albergano le vigne.
L’enoturismo del futuro, quindi, si pone quale promotore della ripartenza del turismo stesso, rispondendo alle attuali esigenze degli italiani (e non solo) desiderosi di vivere un soggiorno che sia al tempo stesso sicuro, accessibile, diversificato, di prossimità e che coinvolga tanto l’enogastronomia quanto la cultura.
Dieci, cento, mille vacanze
wine friendly
Ciò che oggi fa guardare con sollievo al futuro è che, sebbene ancora in fase embrionale rispetto alle sue potenzialità evolutive, l’industria del turismo del vino presenta già un ampio spettro di alternative possibili. Dormire in vigna, infatti, non è più mero appannaggio del luxury travel. Piccole realtà enoturistiche stanno sorgendo, riorganizzandosi per includere servizi sempre più capillari e in sinergia con le attività limitrofe, in modo da garantire ed erogare al cliente una vasta rosa di opzioni che spaziano dal semplice pernottamento, con degustazione, fino ad esperienze più immersive e articolate.
In questo variopinto paesaggio, l’enoturista, oggi, può non soltanto selezionare il proprio soggiorno all’interno di una vasta gamma di alternative più o meno connesse con l’ambiente rurale e contadino, in contesti che variano dalla semplice camera in stile country-toscano sino alle più sfarzose suite, ma anche includervi le più composite e fantasiose eno-esperienze. Del resto, come per tutto il mercato turistico, il trend in permanente crescita è proprio quello legato alle esperienze.
Sempre più spesso si parla, infatti, di “turismo esperienziale”, ovvero quella forma di turismo in cui il visitatore ha un ruolo pienamente attivo, traducendosi nell’insufficienza della stereotipata visita “con gli occhi” di qualsivoglia destinazione, in quanto la vera ambizione di questa tipologia di viaggiatori è, effettivamente, la sperimentazione con tutti i sensi.
Non è più, quindi, la classica calamita il souvenir prediletto dai turisti del XXI secolo, bensì, i ricordi. Costruire memorie comuni alla realtà che si sta vivendo e condividere un’esperienza percepita come autentica e genuina. Da qui, il crescente interesse verso realtà vitivinicole più piccole, la cui semplicità agevola la possibilità di stringere rapporti diretti ed esclusivi con gli attori di quei racconti, incrementando la percezione dell’utente di sentirsi “accolto in famiglia”.
Oggi l’enoturista è un appassionato che desidera incontrare, parlare e perfino brindare con il vignaiolo, l’enologo e il cantiniere, aspirando lui stesso a diventare protagonista di quel calice, di quella bottiglia e percependosi come parte integrante della storia.
L’eno-esperienza non può più, quindi, risolversi semplicisticamente con il pernottamento presso un’azienda vinicola, giacché l’enoturista ricerca l’esperienza della vigna, che è tutta un’altra cosa. È il desiderio di immergersi totalmente in una dimensione nuova, percepita ancora così lontana dall’uomo di città, ma vigorosamente riscoperta proprio in conseguenza alle restrizioni del Covid-19; non è, infatti, casuale che le vendemmie turistiche siano diventate un must per gli amanti del vino. A completare il quadro esperienziale, si affiancano ovviamente le soluzioni più disparate, dai pic-nic in vigna o le degustazioni tra i filari, fino a vere e proprie masterclass di enologia, trattamenti benessere a base di vino o combinazioni con altre attività come yoga, fitness, passeggiate tra i filari in bici o a cavallo, ma anche la poetica fusione di arte, musica, vino e molto altro ancora. Degna di nota è senza dubbio la possibilità di dormire non soltanto in contesti incorniciati dalle vigne, ma addirittura all’interno di vere e proprie “botti”, provviste di tutti i comfort.
La propositività del settore si manifesta ugualmente nella volontà di mettersi al passo coi tempi. Da qui, le molteplici offerte di digitalizzazione della wine experience, in conformità con le esigenze attuali che impongono le distanze, e come propedeutica evoluzione della stessa verso il mercato della Generazione Z.
Digital e vino si incontrano così a metà strada, convergendo l’uno nell’altro; basti pensare che una buona percentuale di italiani, oltre il 42%, si affida esclusivamente al web per scovare mete enoturistiche e informazioni inerenti al vino (fonte Osservatorio Reale Mutua 2020). Sfruttando le ormai conosciutissime piattaforme di conferenza online, i social media, l’e-mail marketing, le aziende del vino sono riuscite a creare, mantenere e, sorprendentemente, anche a irrobustire, quei rapporti di autenticità e vicinanza tanto bramati dal pubblico degli enolovers, fidelizzando un vecchio e nuovo pubblico che potrà presto essere convertito in un visitatore in presenza.
Ogni rosa ha le sue spine
L’unico vero problema dell’enoturismo in Italia risiede nella limitata offerta della sua hospitality. La maggior parte degli enoturisti possono invero definirsi dei soli escursionisti, che circoscrivono quindi la loro visita a una singola giornata, spesso in località limitrofe a quella della propria residenza, comportando una discreta riduzione della spesa media. Differentemente, quando sono coinvolte anche ristorazione e accoglienza, gli enoturisti spendono solitamente il doppio, ed è su questa evidenza che vale la pena soffermarsi. L’incoraggiante risposta arriva nientedimeno che dal mondo della formazione: la necessità di rilanciare il turismo all’indomani della pandemia, ha favorito la fioritura di nuovi titoli di studio di diverso livello, atti alla preparazione di professionalità specifiche che possano inserirsi in modo armonico e costruttivo nel mondo della wine hospitality.
In questo contesto, non è da escludere la nascita di figure ad hoc che possano rispondere in maniera puntuale alle esigenze di un settore in crescita, come è stato, a suo tempo, per l’avvento dei Social Media Manager nel mondo del Digital Marketing. Da questa propositività e dalla fusione di tutte le sue compagini, ne beneficeranno, come già evidenziato, non solo i diretti operatori, ma tutta la filiera coinvolta, così come l’indotto di quelle aree comunali implicate negli itinerari enoturistici.
Un’ultima considerazione risulta inevitabile: il mondo del turismo e, su più ampia scala, il mondo in cui viviamo, stanno cambiando, e se è vero che la storia è una linea evolutiva, non si potrà certo tornare indietro, ma solo procedere accompagnando il progresso di un settore che ha ancora molto da esprimere, specialmente in un Paese, come l’Italia, spesso preferito non soltanto in termini di bellezze naturalistiche e storiche, ma anche per la grande ricchezza di vini, annoverando 408 tra DOC e DOCG, 545 varietà di vite da vino autoctone registrate (2019) e una moltitudine di territori e areali di produzione da far invidia a molti altri luoghi nel mondo. In questa prospettiva, il turismo del vino adempie allora un altro importante compito: sottolineare agli occhi del mondo l’eccellenza del made in Italy.
In conclusione possiamo affermare che l’enoturismo in Italia ha tutte le carte in regola per aggiudicarsi un ruolo sensibilmente più centrale nel panorama economico del Paese, coinvolgendo porzioni di mercato sempre più vaste, variegate e qualitativamente rilevanti. Per questo possiamo guardare al futuro del turismo del vino con realistico e compiaciuto ottimismo.
Da nord a sud le tante proposte del Bel Paese
di Flavia Rendina
Nel cuore delle Langhe, patrimonio UNESCO, il villaggio Fontanafredda a Serralunga d’Alba (CN), offre ospitalità nei locali frequentati dal Re Vittorio Emanuele II e dalla Bela Rusin, immersi in 122 ettari di riserva bionaturale; il Gruppo Ceretto, azienda familiare fondata nel 1937, concede invece una delle esperienze di ristorazione più rinomate a livello internazionale con il ristorante tre stelle Michelin Piazza Duomo, regno dello chef Enrico Crippa.
Vacanze all’insegna dello sport e della natura in Alto Adige, dove sentieri ciclo pedonali uniscono cittadine e cantine, mentre in Lombardia, in piena Franciacorta e a un passo dal lago d’Iseo, l’azienda La Montina di Monticelli Brusati (BS) offre la possibilità non solo di degustazioni e tour guidati ma anche di visitare il primo Museo di Arte Contemporanea in Franciacorta, nonché l’esposizione permanente delle opere dell’artista Remo Bianco, il cui percorso museale si snoda tra le sale e le cantine della tenuta.
Atmosfera analoga in Veneto dove, al Parco della Filandetta Wine&Art Farm di Bortolomiol, in quel di Mezzane (TV), a essere promossa è ancora la connessione tra arte e vino, con opere sparse all’interno del parco. Il lago di Garda è invece protagonista nella Tenuta Canova di Masi a Lazise del Garda, dove ammirare anche il Wine Discovery Museum.
In Friuli, l’ospitalità acquisisce un fascino tutto medievale nel Castello di Spessa di Capriva del Friuli (GO), nel Collio, abbinando la possibilità di giocare a golf nel campo di 18 buche.
Scendendo in Romagna, in provincia di Faenza, immerso nel verde troviamo l’agriturismo dell’azienda Trerè (cantina di cui parliamo a pag. 64 di questo numero della rivista): accoglienza familiare, ristorante di cucina tipica riservabile anche per cerimonie e splendida piscina con spa; mentre, per una sosta all’insegna della natura, Podere La Berta, a Brisighella, offre tutto il relax e la quiete di cui si ha bisogno.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta in Toscana, dove buona parte delle aziende vinicole propone ospitalità, ristorazione e attività in cantina e in vigna.
Tra le più storiche, citiamo il Castello di Brolio di Barone Ricasoli, a Gaiole in Chianti (SI), il Castello di Volpaia a Radda in Chianti (SI) e il Castello di Fonterutoli a Castellina in Chianti, zone epicentro del Chianti Classico; nel cuore della Val d’Orcia, dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO dal 2004, ricordiamo il grande resort della tenuta Rosewood di Castiglion del bosco e il Borgo Canalicchio di Sopra Wine Relais, entrambi vicino Montalcino (SI); infine, sulle colline maremmane, all’interno della DOC Montecucco, il Castello di Collemassari a Cingiano (GR).
In Umbria incontriamo una delle pioniere dell’accoglienza nel nostro Paese: l’azienda Lungarotti, con sede a Torgiano. La famiglia Lungarotti è stata infatti tra le prime a lanciare l’enoturismo e le attività in azienda, aprendo, nel 1978, davvero in tempi non sospetti, un resort di lusso (Le Tre Vaselle, oggi in gestione esterna) e nel 1994 l’agriturismo Poggio alle Vigne, tra i vigneti del Rubesco. L’idea di offrire soggiorno in azienda era sorta dal crescente flusso turistico generato dal Muvit, museo della viticoltura aperto nel 1974, cui si è affiancato, nel 2000, il MOO, museo dell’olio, tutt’oggi due visite davvero irrinunciabili per gli appassionati di settore.
Proseguendo verso l’Abruzzo, in quel di Cascanditella (CH), incastonato tra mare Adriatico e massiccio della Majella e avvolto da 8 ettari di vigne, troviamo il suggestivo Castello di Semivicoli dell’azienda Masciarelli. La struttura originale risale al 1689 e ospita uno splendido resort con piscina, aperto a eventi e cerimonie. Al suo interno, anche un museo, con reperti legati alle pratiche vinicole.
In Campania, citiamo la Dimora Storica Mustilli, struttura del ‘700 a Sant’Agata dei Goti, dove visitare le quattrocentesche grotte tufacee in cui è stata prodotta, nel 1979, la prima Falanghina in purezza, vitigno di cui parliamo proprio in questo numero. Scendendo più a sud, in Puglia sono le masserie a offrire l’esperienza di soggiorno più autentica, tra cui l’Antica Masseria Jorche a Torricella (BA), la Masseria Celentano di Alberto Longo a San Severo (FG) e la Masseria Amastuola Wine Resort a Crispiano (TA). In Sardegna, la sosta è di gusto presso il Dettori ristorante agricolo Kent’annos a Sennori, mentre in Sicilia, l’azienda Firriato offre ben tre proposte di comfort e relax: il Baglio Sorìa Resort & Wine Experience nel cuore dell’Agro Trapanese, il Calamoni Apartment&Wine Experience sull’isola di Favignana e infine il Cavanera Wine Resort, in quel di Castiglione di Sicilia (CT), proprio alle falde dell’Etna.